Si potrebbe iniziare col classico “c’era una volta”.
C’era un volta un paese operoso, pieno di botteghe e contadini, rallegrato dal vociare dei bimbi che scorrazzavano per le strade rincorrendosi.
Poi, per vari motivi l’abbandono, il silenzio al posto delle voci, la vegetazione che avvolge le case, le porte divelte, i muri scrostati, la vita che se n’è andata via.
È il destino di molto piccoli paesi italiani, lasciati dopo secoli di vita per avversità naturali o perché non ritenuti più adatti a una vita secondo i canoni moderni.
Anche in Campania vi sono diversi borghi, alcuni ben conosciuti, altri meno, spopolatisi in epoca relativamente recente per svariati motivi.
Hanno in comune le pietre, le case ancora in piedi o ridotte a pochi resti, la presenza di manufatti che ricordano le attività di un tempo.
Poco più che ruderi rimangono di Marzanello Vecchio, piccolo paese collinare in provincia di Caserta, che ricade nel Comune di Vairano Patenora. Sorto probabilmente intorno all’anno Mille, rimase abitato fino a tutto il Settecento.

Non si conoscono bene le cause dell’abbandono anche perché molti degli edifici che avrebbero potuto svelarne la storia andarono distrutti durante il secondo conflitto mondiale in quanto le truppe alleate utilizzarono i ruderi di Marzanello per la taratura dell’artiglieria pesante. L’unico edificio restaurato è la Chiesa di San Nicola, che domina dall’alto il colle e il paese.


Ben più celebre Roscigno Vecchia, nel Cilento, più volte ribattezzata la “Pompei del Duemila”.
E’ di un fascino avvolgente questo piccolo borgo abbandonato, di cui si percepisce pienamente l’interezza e la presenza di un silenzioso cuore ancora pulsante. L’ampia piazza con la chiesa settecentesca di San Nicola, la bella fontana di pietra da cui sgorga generosamente l’acqua, case e botteghe con scritte sbiadite che ricordano i lavori di un tempo.

Eppure, nonostante l’apparente silenzio interrotto solo dal vociare dei turisti che nei fine settimana si aggirano incuriositi tra le case, esiste ancora una frequentazione da parte dei suoi vecchi abitanti che, pur risiedendo nel vicino nuovo centro abitato, non hanno mai spezzato il legame con quello che ancora oggi molti di loro considerano il paese vero, dove sono nati.

Posseggono ancora le vecchie case, in alcune vi conservano degli attrezzi, attraversano la piazza per raggiungere gli appezzamenti di terreno, consumando piccoli rituali che lasciano una traccia vitale nelle vecchie pietre.
Si perde nei secoli il ricordo di quando il territorio su cui si trova Roscigno Vecchia iniziò a franare.
Il pendio scosceso, formato da terreno argilloso imbibito d’acqua, è instabile da tempo immemore e scivola inesorabilmente a valle, trascinando con sé la natura e le abitazioni. L’esodo del paese, sollecitato a più riprese dalle istituzioni fin dal 1910, fu lentissimo e attraversò ben tre generazioni, con l’abbandono da parte dei più irriducibili solo alla fine degli anni Settanta. Con l’eccezione di Teodora Lorenzo, detta Dorina, che rimase, da sola, fino alla sua morte, avvenuta nell’anno 2000.


Ancora nel Cilento troviamo San Severino di Centola che, svuotatosi definitivamente da mezzo secolo dei suoi abitanti, si trova abbarbicato in posizione tanto suggestiva quanto strategica su uno sperone di roccia che va a chiudere lo sbocco interno della cosiddetta Gola del Diavolo, laddove il fiume Mingardo scorre tra le ripide pareti rocciose del Monte Bulgheria e del Monte Fontanelle.
Denominato fino al 1861 San Severino de Camerota, prese l’attuale nome quando fu in seguito annesso al comune di Centola.

Ancora nella prima metà del Novecento contava circa 400 anime che, dopo la seconda guerra mondiale, scesero progressivamente a valle per andare a vivere nelle più comode case vicino alla ferrovia.


Nello stesso territorio troviamo, San Nicola di Centola, un paese abbandonato a metà, il cui nucleo più antico è attraversato da una strada che divide la parte alta, parzialmente abitata, da quella bassa, spopolata dal 1963, anno in cui uno smottamento costrinse gli abitanti a lasciare questa parte, inclusa in una “zona rossa” non agibile e, nonostante ogni pericolo sia cessato da tempo, nulla è stato fatto né per recuperare le case alla vita, né per farne un luogo di frequentazione turistica.

Anche nel borgo alto si trova un’area abbandonata tutt’attorno alla seicentesca chiesa dedicata a San Nicola, questa invece agevolmente visitabile e suggestiva nella sua spettralità.


Minuscolo, ma non meno suggestivo, l’antico abitato di San Giovanni di Tresino, nel Comune di Castellabate, dove il fascino della natura si fonde con quello della storia, un luogo davvero imperdibile, con un affaccio diretto sul mare.
Ciò che più spicca maggiormente è la grande struttura conventuale in arenaria locale su tre livelli con l’annessa cappella dedicata a San Giovanni, sormontata in maniera suggestiva da una torre angolare trasformata in torre campanaria, su cui si leggono ancora bene le strutture architettoniche originarie.

Ancora nel 1937 vi fu istituita una scuola per i figli dei coloni del Tresino e venne ripristinato il culto nella chiesa di San Giovanni, officiato una volta alla settimana dal parroco della chiesa di Santa Maria a Mare. Fu abbandonato definitivamente dagli ultimi abitanti agli inizi degli anni Sessanta.


Spostandoci in Alta Irpinia, nel comune di Aquilonia si trova il parco archeologico dell’antica Carbonara, paese che venne distrutto dal terremoto del Vulture del 1930, in conseguenza del quale venne ricostruito in posizione più elevata. Oggi dell’antica Carbonara/Aquilonia rimangono pochi ruderi: la piazza del Municipio, i resti di alcuni palazzi gentilizi e del castello e alcune foto che ricordano il paese di un tempo.


Romagnano al Monte, arroccato su un vertiginoso picco collinare a 650 metri dal livello del mare, tra Campania e Basilicata, è un piccolo borgo che si affaccia suggestivamente sulla vallata in cui scorrono il fiume Bianco ed il Platano, alla confluenza del fiume Nero.
Le sue dimensioni svelano il passato di un paese popoloso che nella seconda metà dell’Ottocento contava quasi mille abitanti.
Venne abbandonato per sempre dopo il terremoto del 1980 perché praticamente tutte le case rimaste in piedi risultavano gravemente lesionate.
Oggi quasi tutte le abitazioni hanno le porte spalancate, stanze vuote, cucine in muratura, piccoli oggetti rimasti abbandonati. Nella parte bassa vi sono stalle con mangiatoie scavate nella roccia, vecchie rimesse, percorsi a scale che si arrampicano tra le case e i ricordi di una vita che non c’è più.


Di Melito Vecchia, in provincia di Avellino, rimangono i ruderi del castello e della chiesa dedicata a Sant’Egidio. Il resto del paese, diventato inagibile dopo il terremoto del 1962, è scomparso in seguito a opere di bonifica della zona.

Di contro è rimasta straordinariamente intatta la struttura di Apice Vecchio, in provincia di Benevento, abbandonata dopo lo stesso terremoto del ’62. Attualmente nel borgo fantasma sono in corso opere di ristrutturazione, soprattutto a favore del castello ormai quasi del tutto restaurato.

Il 14 febbraio del 1981 fu invece abbandonato, sempre in provincia di Benevento, il paese di Tocco, ricostruito nelle immediate vicinanze. Il vecchio borgo fantasma offre una scenografia quasi fiabesca in quanto ampiamente avvolto dall’edera e dalla vegetazione, forse uno dei più affascinanti esempi della natura che si sta sostituendo ai manufatti dell’uomo.

La lista dei borghi abbandonati non finisce qui. Si potrebbero ancora citare Castelpoto, Conza, Croce, Fondola, San Felice, Senerchia e altri, tutti accomunati dalla suggestiva spettralità di centri abitati che in un dato momento della loro storia hanno cessato di esistere come comunità, ma sono rimasti quale muta testimonianza delle generazioni che avevano contribuito alla loro nascita ed esistenza.

1 COMMENT

  1. una mia personale esperienza…sono per prima gli abitanti a lasciare il paese e/o a vendere le residenze per andare magari in paesi vicini .o altro ,ma che pur affermano di amare il loro borgo!!!
    in molti casi i “restanti “Abitanti poco fanno per essere coinvolgenti con i “forestieri” ,anzi,a volte ,abituati tra i pochissimi ne sono anche infasiditi…
    il surreale che non si accorgono di fare karakiri…un peccato!!!

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