Intervistiamo l’avvocato italo/americano Frank Ferrante, socio fondatore dello Studio Legale Ferrante negli Usa a Manhattan, nato in Calabria, studi umanistici svolti fra l’Italia e gli Usa. E’ sempre rimasto legato alla sua terra e abbina, nello svolgere la sua professione, un mood eccezionale, la rapidità e il dinamismo dell’imprenditoria di New York, più snella e vivace in quanto non appesantita, come in Italia,  dalla burocrazia e la  preziosa unicità  del nostro Made in Italy, famoso nel mondo come “fatto con l’anima e il cuore tutti italiani”.

Cristina Vannuzzi

Avvocato Ferrante “Il piccolo è ancora bello? L’internazionalizzazione delle PMI è stato il tema del Suo intervento al convegno PM in ottobre al centro Pio Manzù di Rimini: vuole spiegarci la sua tesi e, magari, soluzioni, anche per chi non è potuto intervenire.

“Sono convinto che il piccolo sia sempre più bello, ma è arrivato il momento di reinventarsi. Il tessuto economico italiano è da sempre stato composto per la stragrande maggioranza da piccole e medie imprese, molte di queste addirittura di carattere famigliare. Questa indole non si deve cambiare, perché la qualità, il dettaglio e la passione apportata dalle famiglie a capo di queste imprese è il punto di partenza del loro business ed uno dei motivi per cui sono apprezzate all’estero. Tuttavia, ora più che mai è il momento di differenziare e puntare su mercati che possono essere più lucrativi di quello interno. Io sono un fautore del movimento Italiano all’estero sia nei paesi emergenti come Brasile, Cina, Russia, India sia nelle economie già sviluppate come Stati uniti, Canada e Europa. In particolare, operiamo a diversi livelli in Stati Uniti, Brasile e Cina oltre che chiaramente Italia, paese da dove proviene la stragrande maggioranza dei nostri clienti. In particolare, nell’ intervento alla Conferenza Internazionale sulle Piccole e Medie Imprese ho parlato del mercato statunitense che è quello in cui operiamo da circa 15 anni. Gli U.S.A. sono uno dei paesi più “amici” degli imprenditori, come dimostrato anche dalle statistiche della World Bank. A patto che il “business plan” sia solido, gli Stati Uniti offrono infinite agevolazioni dai punti di vista fiscale, societario, d’immigrazione e di trasparenza. L’ho vissuto in prima persona e cerco di aiutare le eccellenze italiane a vivere il cosiddetto “sogno americano”. In una situazione di crisi, la cosa peggiore è stare fermi ed aspettare che passi. Guardare all’estero non è più un’opzione, ma una strategia di sopravvivenza. Da questa “sopravvivenza” molti sono arrivati al successo!”

I falsi del made in italy all’estero: dal fashion all’enogastronomia, cosa farebbe Lei per migliorare la situazione?

“Cerco di vedere il lato positivo della medaglia: se ci copiano significa che il Made in Italy piace! Purtroppo è quasi impossibile evitare i cosiddetti “tarocchi”. Qui a NY per esempio quasi tutti i ristoranti cercano di inserire parole Italiane, o nei loro menù, o nei loro nomi o bigliettini da visita, anche se d’italiano non hanno neanche il proprietario. Il consumatore, tuttavia, sta diventando sempre più raffinato e riconosce la qualità. Eataly sta facendo soldi a palate, Diesel, Alessi, Paciotti e Barilla incarnano il vero spirito del Made in Italy. Il “vero” Made in Italy e’ riconosciuto. C’è una parte del diritto di cui ci occupiamo che si riferisce alla protezione della proprietà intellettuale. Questa è la risposta più concreta che conosco verso i “falsi”. In linea teorica ogni prodotto, servizio, formula che ha caratteristiche di unicità ed originalità può essere protetto (e deve essere protetto) in quanto frutto dell’ingegno del singolo.

Non scendo nel dettaglio, ma ci sono diverse soluzioni per diversi campi quali gioielleria, fashion e, perché no, anche alimentare. Sono in particolare impegnato in una battaglia per proteggere le “genialita” del fashion, che in questo momento credo siano un po’ meno tutelate rispetto ad altri settori. Proprio in questo settore sono stato coinvolto nella famigerata questione della “suola rossa” di Louboutin contro YSL. Louboutin ha fatto causa a YSL per produrre scarpe con la famigerata suola rossa, suo tratto distintivo. Ho consigliato il nostro cliente Cesare Paciotti, che era entrato in questa querelle dalla parte di YSL negli USA. Tuttavia, vista la minore presenza dell’azienda del pugnale oltreoceano abbiamo preferito uscirne. Un paio di mesi fa Louboutin ha vinto la causa. Fondamentale anche registrare Marchi, patenti, brevetti e slogan. Concludo con una battuta. Proprio in Cina, molte volte additata come la patria del falso, I ricchi cinesi non comprano Made in China o Made in India, ma vanno pazzi per il Made in Italy.”

Vedendo i costi bassi della produzione  e la delocalizzazione delle imprese italiane nei paesi dell’Est ci viene da pensare……esiste ancora il made in italy? E per un Brand Italiano, vista l’avanzata cinese, pensa che in USA ci possa essere un futuro?

“Questa purtroppo o per fortuna è una realtà. Le più grandi multinazionale del Fashion da Armani a Dolce&Gabbana producono in parte all’estero. Non sono contrario e penso ci sia un mercato per tutto. La direzione, in futuro, sarà sempre più questa. Tuttavia, come spiegato prima, l’etichetta “Made in Italy” vende, ma credo che produzione estera con disegno e marchio italiano sarà sempre più frequente. Non lo vedo necessariamente come una cosa negativa.”

In pochi anni quelli che erano i paesi sottovalutati, sono diventati i paesi più ricchi e promettenti e, in Italia, guardiamo al modo di creare nuovi sbocchi per fare sviluppo; che tutela suggerisce Lei per la PMI?

“Le PMI possono tutelarsi da sole guardando a questi mercati. Il fatto che siano basate in Italia non significa necessariamente che quello e’ l’unico mercato in cui debbano operare. Questi nuovi mercati che lei ha menzionato, India, Cina, Brasile, Medio Oriente non devono essere visti come minacce ma come opportunità. La globalizzazione sarà sempre più’ forte.

Secondariamente credo che il governo Italiano, come sta facendo quello americano, debba dare incentivi a piccole e medie imprese che lo meritano. Un problema su tutti è quello della tassazione. In Italia le aziende sono oltremodo gravate da tasse sugli introiti e sui dipendenti. Se si vuole aiutare l’economia interna questo trend deve diminuire”.

La crisi potrebbe annullare tutta la promozione fatta all’estero?

“No. La crisi è solo la più grande opportunità che possa capitare. Un esempio su tutti: una grande parte delle Fortune 500 companies (Lista delle migliori 500 aziende al mondo stilata da Forbes) è nata dalla crisi del ’29. La storia è ciclica e ci insegna che quelli che apparentemente sembrano ostacoli, se presi con il giusto spirito, sono opportunità; ci aiutano a guardare oltre”.

La società italiana, sia sul fashion che sull’enogastronomia, è sufficientemente preparata?

“Credo ci sia da fare una distinzione tra qualità dei prodotti e modo di condurre business. Nella qualità l’Italia è prima al mondo nelle aree da lei nominate. Tuttavia il ruolo degli imprenditori è quello di reinventarsi sempre. Per esempio, lo scenario d’affari attuale è dominato da internet e dai social media. Come imprenditore è importante fare leva su questo trend altrimenti il rischio e’ quello di diventare obsoleti, pur con eccellenti prodotti. Bisogna convogliare il giusto messaggio, nel giusto canale alle giuste persone. Altra considerazione che mi sento di fare è che nel commercio internazionale è importante adattarsi ai diversi mercati che si coprono. Un prodotto o servizio può essere efficace in un Paese ma completamente fallire in un altro”.

Secondo Lei, con la grande cucina italiana di tradizione che abbiamo, e avendo il grave problema sociale dell’obesità, sembrerebbe che non si mangi più cucina all’italiana, Lei che cosa ne pensa?

“Bella domanda. Penso di vivere nel paese in cui il problema dell’obesità sia primo al mondo. Purtroppo la vita frenetica di oggi ci porta molto a mangiare fuori e velocemente senza troppa attenzione alla dieta. Devo dire però che specialmente in America si sta riscoprendo un’onda salutare. Proprio questa è l’era dei vegetariani o vegani e sempre più e più consumatori sono alla ricerca dei famosi “organic products”. Catene come Whole Foods e Trader Joe’s vanno per la maggiore al giorno d’oggi. Anche vero e’ che i controlli alimentari americani sono molto più blandi rispetto all’unione europea. La dieta mediterranea e la sua storia di cibo fatto in casa ha un fascino molto forte sul consumatore americano. Ecco perchè molti consumatori prediligono prodotti importati. Un caso che stiamo seguendo in questo momento e’ quello di Polenghi. Gruppo di Piacenza, e’ leader mondiale nella produzioni di concentrati di succo di limone proveniente dai rinomati limoni siciliani. Facendo proprio leva sulla qualità, il gruppo è in forte crescita nel mercato americano, tanto che li stiamo assistendo nello stabilimento di una produzione americana”.

I dati turistici dell’estate 2012 segnalano un aumento del turismo enogastronomico. È questo il futuro di un comparto italiano che pesa molto sul Pil?

“L’Italia è fedele alle sue origini e sicuramente il cibo fa parte di queste. Se non sbaglio l’Italia è il settimo paese al mondo per visitatori all’anno. Credo che oltre alla bontà dei suoi prodotti l’enogastronomia italiana è apprezzata per le sue tradizioni. In particolare i Vini italiani stanno crescendo molto negli Stati Uniti, e parlando con i nostri clienti distributori, intravedono ancora maggiori possibilità. Anche in Cina, mercato notoriamente ostile per i vini italiani, sembra che il vento stia cambiando. Circa un mese fa si è tenuta a Pechino la Cerimonia Inaugurale dei Vini Italiani in Cina. Questo sarà un progetto della durata di un anno, richiesto dal Ministero dello Sviluppo Economico e finanziato dal Dipartimento degli Affari Esteri d’Italia. Parlavamo prima della tutela delle PMI, questo mi sembra un buon passo”.

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