La ricerca in cantina continua inesorabile. Cambiano le tecniche, si inseguono nuovi gusti a volte riscoprendo quelli antichi.
Siamo passati dal tradizionale invecchiamento in botte alla stagione delle barriques. Se non affinavi il tuo vino in barrique, meglio se nuova e di legno di Slavonia, eri condannato al dimenticatoio. Si finiva per passare in barrique anche vini bianchi che altrimenti avrebbero goduto della loro originaria freschezza senza la pesantezza del tostato e del burroso.
Le barriques hanno migliorato molti vini rendendoli longevi e accattivanti, la loro stagione non è finita, si è solo ridimensionata la moda.
Irrompono le nuove tecniche. Prendi quella di invecchiare prima in botti grandi e poi in piccole, il travaso è reso necessario dal differente grado di sapori che il legno conferisce al prodotto. Nella grande il sapore è sfumato, la maggiore superficie lo disperde. Nella piccola il sapore è concentrato, insiste sul prodotto fino a soffocarlo se il contatto dura troppo a lungo.
L’invecchiamento in anfora viene da lontano nel tempo e nello spazio. Josko Gravner è uno dei protagonisti della storia vitivinicola italiana, è un precursore di tale affinamento. Anche lui inizia a vinificare in acciaio per passare alla barrique. Dopo un’esperienza quasi decennale di barrique, sperimenta con successo una nuova tecnica che lo renderà maestro ed ispiratore dei produttori di vini naturali italiani: la fermentazione delle uve in anfore di terracotta provenienti dal Caucaso. Nelle grosse anfore interrate il vino resta a contatto delle bucce molto a lungo fino ad acquisire il colore ambrato, tale da somigliare ad uno sherry piuttosto che al normale bianco da tavola.
Il caso Gravner è quasi al limite. Alcuni produttori campani usano anfore più piccole, si spingono meno avanti verso i confini del gusto. Il loro prodotto è eccellente; tra i vari degustati resteranno indelebili nella mia memoria i vini naturali di Cacciagalli, giovane azienda dell’Alto Casertano.
La Campania deve molto alle anfore. Erano il contenitore in cui il vino viaggiava dalla Grecia alla Magna Grecia, se ne trovano ancora nel fondo del mare a bordo dei relitti.

Se le anfore erano il contenitore principe dell’antichità, perché non dovrebbero esserlo nella modernità? E’ in questa ricerca del moderno attraverso la riscoperta dell’antico che sta l’intrigo dell’attuale uso dell’anfora, che affida al vino un sapore ed un colore del tutto particolari. Siamo dalle parti degli orange wine, vini a lunga macerazione che proprio in anfora si esprimono al meglio.
Altri produttori sperimentano l’affinamento in mare, si parla infatti di cantine sommerse. Pierluigi Lugano, docente di storia dell’arte, vignaiolo e amante del mare, è stato tra i primi a sperimentare la nuova tecnica.

Ripensando a galeoni naufragati e sopravvissuti mantenendo intatto il loro carico per centinaia di anni, ha intuito che ponendo le bottiglie, stivate in cassoni d’acciaio, sui fondali poteva ottenere straordinari risultati grazie alla penombra e alla temperatura costante. Sull’esempio degli Abissi di Lugano, il primo spumante “sommerso”, si sta muovendo Veuve Clicquot, sperimentando “A Cellar in the Sea”, una cantina in mare. E se si muove una grande maison della Champagne significa che la tecnica promette sul piano commerciale.

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