Dopo lo zucchero, è il principale ingrediente della Nutella, è presente in quasi tutti i biscotti in commercio e sicuramente nelle merendine più golose non manca mai! No, non sto parlando del cioccolato…ma dell’olio di palma!

Oggetto di numerose accuse ambientali e alimentari degli ultimi anni, l’olio di palma ha fatto davvero discutere. Per quale motivo? Ecco qualche punto per iniziare a fare chiarezza…

Cos’è l’olio di palma?

Gli oli che si ricavano dalla pianta delle palme sono due: il primo è l’olio di palma che si ottiene dal frutto della palma, mentre il secondo viene chiamato olio di palmisto e si ricava dalla spremitura dei suoi semi.

Entrambi nelle etichette alimentari vanno sotto il nome di ‘olio di palma’ ma in realtà quello più usato nell’industra è l’olio di palmisto, che differisce molto dall’olio di palma puro.

L’olio di palma ottenuto dai frutti, come tutti gli oli, si trova sia puro che raffinato. L’olio di palma puro o “grezzo” ha un colore rossastro per via dell’alto contenuto di beta-carotene (vitamina A) e ha anche un buon contenuto di tocoferoli e tocotrienoli (alcune forme di vitamina E) che gli conferiscono delle proprietà antiossidanti.

L’olio di palma che subisce un processo di raffinazione perde tutte le sue proprietà, assume un colore bianco-giallastro e ha un contenuto di grassi saturi pari al 50%.

L’olio di palmisto ha un contenuto di acidi grassi saturi maggiore rispetto all’olio di palma (circa l’85%), è incolore ed è privo di proprietà nutrizionali.

Queste caratteristiche lo rendono versatile e quindi adatto all’uso nell’industria alimentare, usato in prodotti dolci e salati a lunga conservazione ma anche in creme spalmabili e addirittura in alcuni preparati per bambini.

Perché si usa proprio l’olio di palma?

Chiunque abbia messo le mani in pasta per preparare una torta se ne sarà reso conto: nella maggior parte delle ricette dei dolci da forno, è necessario aggiungere una certa quantità di sostanze grasse.

Nel caso dei prodotti da forno, così come nelle creme, i grassi che regalano una miglior struttura e consistenza al prodotto sono i grassi saturi, cioè quelli semisolidi, che di solito sono quelli animali come il burro, ma possono essere anche vegetali, come l’olio di palma e l’olio di cocco.

L’olio di palma (o di palmisto) ha diverse peculiarità che l’hanno reso “popolare” tra i maggiori produttori industriali: ha un basso costo, ha una grande resistenza alle temperature, è insapore e infine non irrancidisce facilmente, quindi può essere facilmente usato in prodotti a lunga conservazione. Con tutti questi vantaggi industriali, a pagare il prezzo più alto sarà la salute del consumatore e del Pianeta.

Quali sono i rischi del consumo dell’olio di palma?

Consultando la letteratura scientifica emerge che i problemi legati all’olio di palma sono principalmente tre:

  1. l’elevato contenuto di acidi grassi saturi, le sostanze dannose che si formano durante i processi di lavorazione e il fatto che la sua produzione porta alla distruzione di grandi fette di foresta, so­pratutto in Indonesia e Malesia, i due maggiori produttori.

In una corretta alimentazione i grassi dovrebbero apportare circa il 30% delle kcal totali, di cui il 7-10% rappresentati da quelli saturi, contenuti principalmente in derivati animali (come il burro).

Tuttavia, diversi studi scientifici concordano nel ritenere che i grassi saturi in quantità superiori a quelle raccomandate, sono responsabili della formazione di placche arteriosclerotiche e di una iper-produzione di colesterolo.

In questo senso, quindi, l’olio di palma è pericoloso per la salute di arterie e cuore, ma non più del burro!

2. Un altro problema che riguarda la salute è il rischio di cancerogenicità legato all’olio di palma trattata a temperature superiori ai 200 °C. Queste temperature possono essere superate sia nella fase di raffinazione degli oli sia nei processi di lavorazione dell’industria.

Tutto è partito quando l’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) nel marzo del 2016 ha pubblicato i risultati di uno studio sui rischi per la salute umana legati alla presenza di tre sostanze (3- e 2- monocloroporpanediolo e glicidil esteri degli acidi grassi) che si sviluppano durante i processi di lavorazione di grassi e olii vegetali.

Sebbene si formino in tutti gli oli vegetali, l’olio di palma e quello di palmisto, però, a parità di sostanza e di tecnica di lavorazione, ne contengono in quantità molto più elevata.

Ebbene quando si supera la dose giornaliera tollerabile (2 microgrammi per chilo al giorno) queste tre sostanze sono note per essere cancerogene e genotossiche (danneggiano il DNA) e possono provocare delle conseguenze sullo sviluppo e riproduzione, in particolare potrebbero verificarsi effetti nocivi sui reni e fertilità maschile.

3. Mentre il rischio per la salute dipende dalla frequenza e quantità delle consumazioni, il rischio ambientale legato alla coltivazione dell’olio di palma è una minaccia imminente per il Pianeta.

La coltivazione delle palme, che si concentra nel Sud-Est asiatico, ha portato a una deforestazione di grandi aree tropicali per far spazio alle nuove piantagioni. Gli effetti di una deforestazione e di conseguenza dei suoi numerosi incendi, si misurano in termini di biodiversità (connessi alla distruzione dell’habitat di numerose specie), di stravolgimento dell’assetto idrogeologico del territorio e anche di ripercussioni sul clima a causa dell’impennata di gas serra nell’atmosfera.

 

L’olio di palma in questi anni si è classificato ai primi posti nella lista dei ‘nemici alimentari’. In realtà la sua storia è un esempio di quanto sia difficile e complesso valutare se un alimento è salutare o meno, a seconda dell’insieme dei fattori in gioco.

La strategia più ragionevole, per la salute e per l’ambiente, è variare le proprie fonti alimentari, prediligere uno stile di vita sano e preferire alimenti fatti in casa.

L’olio di palma non è l’alimento più salubre ma nemmeno il peggiore:

è bene non abusarne quotidianamente ma non bisogna allarmarsi se consumato sporadicamente.

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