Con un aumento del 15 per cento delle quantità di tartufo Made in Italy esportate nel 2009, in controtendenza con l’andamento economico generale, la mappatura del genoma rappresenta una grande opportunità se sarà utilizzata per valorizzare le identità territoriali del tartufo e per proteggerle dai tentativi di modificazione genetica e clonazione che sono in atto in Paesi come la Cina.
E’ quanto afferma la Coldiretti, in riferimento alla mappatura del Dna del tartufo nero (Tuber melanosporum), pubblicata su Nature e frutto di una ricerca condotta da Italia e Francia che consente di rintracciare i tartufi sulla base della loro provenienza, certificando il prodotto e contrastando le frodi.
Il genoma di “Tuber melanosporum” fornisce anche importanti informazioni per le tecniche di tartuficoltura, che sono di grande interesse nelle aree di provenienza, come Umbria, Marche e altre regioni del centro-nord per l’Italia, Perigord e Provenza per la Francia.
Sulla base dei dati sul commercio estero dell’Istat, l’Italia ha esportato 124mila chili di tartufo conservato nel 2009. I risultati della ricerca possono dunque dare un importante contributo alla salvaguardia del legame con il territorio ma anche sostenere una lotta più incisiva nei confronti delle frodi e sofisticazioni.
In Italia la raccolta coinvolge decine di migliaia di professionisti impegnati, insieme all’amico più fedele dell’uomo, a rifornire anche negozi e ristoranti con tartufi che alimentano un business comprensivo di indotto stimato in circa mezzo miliardo di euro per una specialità venduta fresca, conservata o trasformata.
La ricerca dei tartufi praticata già dai Sumeri svolge una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive dove rappresenta una importante integrazione di reddito per le comunità locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici come dimostrano le numerose occasioni di festeggiamento organizzate in suo onore.
Il tartufo è un fungo che vive sottoterra ed è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi. Nascendo e sviluppandosi vicino alle radici di alberi come il pino, il leccio, la sughera e la quercia – spiega la Coldiretti – il tartufo, deve le sue caratteristiche (colorazione, sapore e profumo) proprio dal tipo di albero presso il quale si è sviluppato.
La forma, invece dipende dal tipo di terreno: se soffice il tartufo si presenterà più liscio, se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio.
I tartufi sono noti per il loro forte potere afrodisiaco e in cucina – quello nero – viene per lo più utilizzato in cottura o per farcire ma anche a crudo, tagliato a fettine e messo su piatti di pasta fresca. Il bianco, invece va rigorosamente gustato a crudo su noti cibi come la fonduta, i tajarin al burro e i risotti. Per quanto riguarda i vini il tartufo bianco esige grandi vini rossi, il nero, invece ammette anche i bianchi.