Guai a dire che è l’abete l’albero simbolo delle festività natalizie. In Italia ci sono ben 29 specie di piante sempreverdi, autoctone o naturalizzate.

E’ il Consiglio dell’Ordine Nazionale degli Agronomi e dei Forestali a ribadirlo e a consigliare per ogni regione l’albero giusto.

Ogni regione ha la sua pianta ideale: Abruzzo-Agrifoglio, Basilicata-Quercia spinosa, Calabria-Pino laricio, Campania-Olivastro, Lazio-Alloro, Molise-Alaterno, Puglia-Carrubo, Sardegna-Mirto, Sicilia-Corbezzolo, Umbria-Leccio.

Non è una crociata contro il “classico” abete di Natale, quella del Conaf, ma una possibilità per preservare la biodiversità, rivalutare varietà di piante autoctone, e favorire l’economia di molte aziende agricole italiane.

“I classici abeti natalizi, sottolinea il presidente Conaf Andrea Sisti, escludendo l’abete bianco e l’abete rosso, spesso appartengono a specie del tutto estranee alla nostra flora e, ancora più spesso, provengono da coltivazioni che si trovano a centinaia e migliaia di chilometri di distanza, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di emissioni di CO2 per il solo trasporto.”
“L’utilizzo di specie autoctone, afferma Graziano Martello, consigliere Conaf con delega a foreste ed ambiente, può favorire lo sviluppo di filiere corte per la produzione e commercializzazione di piante da utilizzare quali alberi di Natale a vantaggio degli agricoltori locali, dell’ambiente e del paesaggio. Le stesse, d’altra parte, potranno essere piantate nel giardino di casa senza problemi di attecchimento e senza rischiare di favorire la diffusione di nuove specie “aliene”.
Con l’albero giusto non si inquina e si ha una pianta che può vivere molto a lungo. Un abete rosso, che trova il suo habitat in tutte le regioni dell’arco alpino, può essere piantato nel giardino e vivere anche oltre un secolo, crescendo di molti metri in altezza.

Degli alberi di Natale naturali autoctoni solo il 10% sono piante recise, il resto sono abeti coltivati nei vivai italiani o stranieri.

“Ma anche con i tagli non ci sono sprechi, dice Graziano Martello, perché non si taglia la punta, ma si utilizzano i tagli colturali che non sono altro che interventi di riduzione del numero di piante del bosco.”

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