Sono in arrivo le festività natalizie, il momento “magico” della nocciola, sarà presente come frutta secca nei cestini a centro tavola, ma anche tostata nei dolci tradizionali, abbinata al cioccolato e protagonista nel torrone che delizierà le nostre papille gustative nei lunghi pomeriggi tra tombolate e giochi di carte.

Non è solo il Natale l’unico momento in cui mangiamo le nocciole, magari le consumiamo tutto l’anno senza nemmeno rendercene conto, nei biscotti della prima colazione che contengono nocciole e che dire di snack, gelati, cioccolato, nocciolati e torte guarnite con granella.

E’ così frequente l’utilizzo, che vale la pena dare un’occhiata all’etichetta, e tra gli ingredienti leggeremo “nocciola” o “granella di nocciola”. E’ proprio questa “dicitura generica” che spaventa le associazioni italiane di consumatori e di produttori.

La Coldiretti afferma “è turca una nocciola su tre presente nei prodotti in vendita tra gli scaffali dei supermercati, biscotti, wafer, merendine, barrette energetiche, muesli e yogurt, che sono entrati a far parte delle abitudini alimentari degli italiani, ed in particolare tra i giovani ed i bambini”.

In più occasioni, le associazioni hanno denunciato la presenza di aflatossine nelle nocciole provenienti dalla Turchia. Dopo la decisione della Comunità Europea di alzare il livello delle aflatossine presenti nelle nocciole, la Confagricoltura ha affermato “gli italiani sono doppiamente beffati, come consumatori per la dubbia qualità, e come produttori per i prezzi praticati dalla Turchia”.

L’Italia è il principale importatore europeo di nocciole turche, dopo la Germania, pur essendo il “Primo produttore comunitario”, con 1,1 milioni di quintali di prodotto coltivato su 68.000 ettari di terreno, seguita dalla Spagna.

E’ anche il secondo produttore nel mondo, il primo è la Turchia. I noccioleti d’Italia sono spesso ubicati in zone difficili, collinari, a rischio di dissesto idrogeologico, però rappresentano una importante economia per le  quattro regioni corilicole, che in ordine di produzione sono la Campania, il Lazio, il Piemonte e la Sicilia.

I produttori italiani hanno problemi comuni, le aziende “invecchiano” c’è uno scarso ricambio generazionale, che non consente l’innovazione del settore, pochi sono i giovani che si dedicano al settore, e numerose sono le aziende che concepiscono la produzione come una seconda attività, o perché l’appezzamento di terra è stato ereditato e si coltiva per hobby o per passione, o perché molti sono i problemi di gestione e non si può vivere di sola “nocciola in guscio”.

Diventa sempre più difficile condurre un noccioleto, i costi di produzione sono inferiori o a pareggio del prezzo di vendita, i mancati guadagni e la produzione in zone collinari “svantaggiate” non favoriscono l’innovazione tecnologica, le attività di un ciclo produttivo sono numerose (potare, concimare, scalzare, raccogliere, trasportare, sgusciare, essiccare, stoccare) ogni mese un’attività, ed per concludere l’elevato costo della manodopera che, in molte zone di produzione, scarseggia.L’attività più importante, ed anche la più difficile è “la vendita”.

Il migliore operatore finanziario, con qualificata esperienza in “borsa” manifesterebbe le sue difficoltà, se paragoniamo i prezzi di vendita degli ultimi cinque anni allora, ci si accorgerebbe della “missione impossibile” per azzeccare il periodo migliore per vendere. Il prezzo di vendita (2005/2009), per quintale ha oscillato dai 130,00 ai 500,00, per poi scendere di nuovo a 130,00 e assestarsi intorno ai 230,00 nel 2009.  Sicuramente questo è il risultato della diretta corrispondenza all’oscillamento produttivo della Turchia.

Se esaminiamo il settore italiano di produzione, notiamo che è frammentato e non organizzato, e ben si presta alle speculazioni, i prezzi sono stabiliti da chi acquista, e in questo caso vengono stabiliti dalle industrie alimentari, meglio conosciute come “multinazionali” maggior cliente dei “disorganizzati” e “frammentari” produttori italiani.

Dagli ultimi sondaggi risulta che l’ utente è disposto a pagare fino al 30 % in più se ha la sicurezza che il prodotto acquistato è italiano, con questa affermazione si spiega il  lento successo dei “Gruppi di Acquisto e dei ”Farmer Market” ovvero la spesa a km zero che assicurano una produzione buona, sostenibile per chi produce, ma offrono l’occasione di far avvicinare il consumatore della città alla campagna, facendolo sentire più vicino al mondo contadino.

Io credo che a un prodotto come la nocciola, simbolo di orgoglio nazionale rappresentato dalle tre nocciole a marchio europeo riconosciute: Nocciola Piemonte igp, Nocciola di Giffoni igp e Nocciola Romana dop, non si può negare l’eccellenza, la sicurezza e la salubrità di produzione. Ma le si può rimproverare l’incapacità dei piccoli produttori ad aggregarsi in associazioni soprattutto in luoghi di grande produzione dove non esiste un marchio di tutela dop o igp.

Lo sforzo deve essere grande e deve partire da molti fronti è una sinergia che deve puntare sulla valorizzazione del territorio attraverso un turismo rurale, curare una manutenzione dello stesso favorendo il recupero dei noccioleti e mirando alla conservazione della biodiversità altrimenti si arriverà all’abbandono totale dei terreni.

Inoltre bisogna creare un’aggregazione reale dell’offerta sul mercato e richiedere una maggiore trasparenza nell’etichettatura dell’origine per dare visibilità all’identità territoriale ma soprattutto all’etichettatura dei prodotti trasformati alla nocciola. In ultimo agire sull’informazione  ovvero educare il consumatore all’acquisto e alla qualità del prodotto italiano, creando una disaffezione dello stesso verso le nocciole turche.

Irma Brizi

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