Tutti dobbiamo impegnarci a favore del pianeta. E possiamo farlo cominciando dalle piccole cose, dalla nostra vita quotidiana. Purtroppo, è ancora troppo scarsa nel paese la consapevolezza di quale ferita creino all’ambiente gli allevamenti intensivi.” – lo dice l’ex Ministro del Turismo, on. Michela Vittoria Brambilla, commentando il dossier sui costi reali del ciclo di produzione della carne, presentato a Roma dalla LAV, alla vigilia dell’apertura dei lavori del summit sull’ambiente Rio + 20. “Un lavoro importante per informare correttamente l’opinione pubblica: non mangiare carne fa bene a tutti, fa bene al pianeta“.

Non tutti infatti – prosegue l’ex ministro – sono consapevoli di quanto sia crudele la sorte di bovini, polli, maiali, agnelli e i tanti animali, costretti negli allevamenti intensivi ad una vita che non è vita, per produrre migliaia di tonnellate di alimenti di cui possiamo benissimo fare a meno, creando una grave ferita all’ambiente per la quantità di emissioni che questi lager producono e per come dissipano le risorse di acqua e di produzione agricola del pianeta.” È bene sottolineare che l’allevamento intensivo e la produzione di carne, dopo l’attività industriale e il settore dei trasporti, sono i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra nell’atmosfera, uno dei principali problemi all’ordine del giorno del summit sull’ambiente di Rio.

Il più recente rapporto delle Nazioni Unite – osserva l’on. Brambilla – ci dice che nell’ultimo ventennio è andato perduto il 30 per cento della biodiversità del pianeta, che le emissioni di anidride carbonica sono aumentate del 40 per cento e che solo per 4 dei 90 principali obiettivi ambientali fissati in precedenza sono stati compiuti progressi significativi. Poco o nulla si è fatto per combattere i mutamenti climatici, la desertificazione, la siccità. Se non cambiamo il nostro stile di vita, se non scegliamo tecnologie pulite e fonti rinnovabili, rischiamo di dover affrontare irreversibili alterazioni delle funzioni vitali del pianeta.

Sulla base di tale analisi, la LAV avanza una serie di proposte per una nuova politica alimentare “sostenibile”, attuabile subito sia dai Governi che dalle singole famiglie. L’Unione Europea (UE) è il più grande importatore ed esportatore mondiale di prodotti zootecnici e il primo importatore mondiale di prodotti zootecnici dai paesi in via di sviluppo[1], è il terzo produttore[2] mondiale di emissioni di C02 dopo Cina e USA e, dunque, si conferma indiscusso leader politico globale per la lotta al cambiamento climatico.

Gli effetti considerati nel Rapporto LAV “I costi reali del ciclo di produzione della carne”, includono:

• acidificazione

• inquinamento ed eutrofizzazione delle acque

• cambiamento climatico

• cancerogenicità

• sfruttamento delle risorse naturali

• utilizzo di energia non rinnovabile

• inquinamento atmosferico

> La nuova politica alimentare “sostenibile” in 10 punti

L’industria zootecnica deve essere oggetto di profondi cambiamenti che non rappresentano solo una trasformazione di processi industriali, ma una profonda revisione dei modelli alimentari finora orientati non in funzione delle esigenze alimentari e nutrizionali delle popolazioni, ma effetto di programmi di produzione industriale legate ad esigenze di crescita economica.

Secondo la LAV è necessario adottare politiche di sostituzione della produzione delle proteine animali verso le proteine vegetali e l’eliminazione di sussidi lungo tutta la filiera zootecnica, che hanno determinato danni ambientali, economici, di benessere e alla salute dei cittadini.

Tra le principali raccomandazioni che il legislatore nazionale e comunitario dovrebbero fare propri in una prospettiva collettiva di modello alimentare sostenibile:

  • riconvertire gli allevamenti intensivi che si basano su processi di tipo industriale

  • abolire i sussidi che incentivano la produzione di carne al fine di ridurne in modo significativo la produzione; incentivare la produzione di proteine vegetali per il consumo umano anziché per mangimi.

  • abolire l’esportazione e importazione di animali vivi da paesi non-EU e i sussidi che li sostengono.

  • promuovere tramite la Riforma della PAC, la produzione e il consumo di proteine vegetali anziché la carne come alternativa responsabile e sostenibile da un punto di vista ambientale, economico ed etico.

  • dedicare alle proteine vegetali una linea di finanziamento nel quadro finanziario della PAC e spostamento dei sussidi alla carne verso le proteine vegetali, fino all’abolizione di qualsiasi contributo alla filiera zootecnica.

  • effettuare studi tecnici internazionale indipendenti sulle emissioni di gas serra associate al ciclo di produzione della carne.

  • includere le emissioni di CO2 del ciclo di produzione della carne nel sistema europeo di scambio dei diritti d’emissione e nei negoziati internazionali.

  • fissare chiari obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 dal ciclo di produzione della carne.

  • introdurre una tassa sulle emissioni di CO2 provenienti dalla zootecnia.

  • introdurre una normativa di etichettatura e tracciabilità della carne e prodotti carnei in modo che i consumatori possano riconoscere senza sforzo la provenienza dell’animale, dove sia stato eventualmente trasportato, come e dove sia stato allevato, quanti chilometri abbia percorso in vita e dove sia stato ucciso e macellato. Inoltre l’etichettatura dovrà chiaramente specificare i metodi di allevamento utilizzati. Questo aiuterà a guidare i consumatori verso una scelta responsabile.

“L’insostenibilità economica, sanitaria, ambientale ed etica del modello alimentare basato sulla carne, non può essere corretta ricorrendo a delle soluzioni tecniche o tecnologiche perché esse sono inefficienti, molto costose e difficilmente applicabili ed esportabili a livello globale. Esiste invece già una soluzione semplice, accessibile e poco costosa: la promozione del consumo di proteine vegetali invece di quelle animali – afferma Roberto Bennati, vicepresidente della LAV – Ad esempio, si è calcolato che per produrre 1 kg di carne di manzo siano necessari 10 kg di mangimi e 15.500 litri di acqua e che la produzione di 1 kg di manzo emette tanta CO2 quanto un’automobile che percorre 250 Km (una distanza pari circa a quella tra Roma e Firenze). I 2/3 dell’energia consumata dal ciclo di produzione della carne proverrebbe dalla produzione e dal trasporto dei mangimi per animali.”

“Il ciclo della produzione di carne sfrutta il 30% delle terre emerse del Pianeta e il 70% delle terre agricole disponibili, contribuisce ad avere un impatto negativo sul clima e sull’ambiente, arrecando agli animali sofferenze e morte – prosegue Roberto Bennati – Non è dunque più ammissibile che la politica agricola europea, che pesa per circa il 40% sul bilancio annuale dell’UE, continui a premiare produzioni a bassa qualità e alti impatti globali invece di promuovere un modello produttivo orientato all’alta qualità, alla responsabilità e alla sostenibilità, che contempli anche la promozione di proteine vegetali come sostitutive a quelle animali. Il cambiamento nelle scelte alimentare ci coinvolge tutti, dai Governi alle singole famiglie, perché tutti noi ogni giorno portiamo in tavola alimenti che incidono sulla salute del Pianeta e di tutti i viventi”.

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