Il 2010 si è caratterizzato come l’anno della ripresa degli scambi internazionali dopo un 2009 segnato dalla forte contrazione dei flussi agroalimentari per effetto della crisi economica mondiale.

Nel 2010 si è, infatti, registrato un netto incremento sia dell’import (+11,9%), pari a 35.408 milioni di euro, sia dell’export (+11,6%), che ha raggiunto i 28.087 milioni. Il trend positivo, sia per i flussi in entrata che in uscita, si riscontra in tutti i trimestri del 2010, con una accelerazione nella seconda metà dell’anno.

Altro fattore a supporto della performance positiva del 2010 è l’analisi delle singole componenti che hanno prodotto la crescita in valore degli scambi: questa, infatti, non è derivata dalla componente prezzo, che anzi mostra una lieve contrazione, ma è imputabile esclusivamente a un significativo incremento dei volumi scambiati (+15,4% per l’import e +17% per l’export).

Tali dinamiche hanno però prodotto un peggioramento del deficit agroalimentare che, dopo il significativo miglioramento registrato nel 2009, è tornato a crescere nel 2010, raggiungendo i -7.321 milioni di euro, a causa del maggiore incremento dell’import rispetto all’export; resta invece sostanzialmente stabile il saldo normalizzato, pari a -11,5%.

Nonostante l’incremento dei flussi, nel 2010 si è ridotto il peso dell’agroalimentare sulle esportazioni e, soprattutto, sulle importazioni complessive dell’Italia, attestandosi rispettivamente all’8,3% e al 9,6% (-1% rispetto al 2009). Le esportazioni complessive dell’Italia sono, infatti, cresciute di quasi il 16% nell’ultimo anno di riferimento e per le importazioni tale aumento ha superato il 23%, recuperando quasi completamente la quota persa nel 2009 e riportando i valori vicini ai livelli del 2008.

 

Le aree

Il 2010, come per il 2009, non presenta cambiamenti significativi nella distribuzione geografica delle esportazioni agroalimentari italiane. L’incremento dei flussi riguarda, infatti, tutti i principali mercati di sbocco. All’UE 27, come nel 2009, viene destinata una quota delle vendite pari al 70%, con un aumento delle esportazioni di oltre dodici punti percentuali.

Anche l’aumento delle esportazioni destinate al Nord America risulta rilevante (+13,6%) ed è attribuibile esclusivamente alla componente industriale; quest’ultima più che compensa la contrazione del 5,8% delle vendite di prodotti agricoli. Ne deriva una stabilità del peso complessivo dell’area nordamericana sull’export agroalimentare italiano, pari al 10%.

Di assoluto rilievo è anche l’incremento dei flussi destinati al continente asiatico (+20% circa), che nel 2009 era stata l’unica area ad incrementare le importazioni di prodotti agroalimentari italiani. Quello asiatico si conferma, quindi, un mercato di sbocco in forte espansione per l’agroalimentare italiano e tale andamento acquista maggiore rilevanza considerando che tutti i principali prodotti di esportazione destinati a quest’area appartengono al cosiddetto made in Italy.

 

Provenienza delle importazioni agroalimentari italiane

Maggiori differenze emergono, invece, dal lato delle importazioni nel 2010. Si riduce, per il secondo anno consecutivo, la quota di importazioni provenienti dal Centro-Sud America, attestandosi al 9% nell’ultimo anno di riferimento.

Infatti, sebbene i flussi agroalimentari provenienti da quest’area risultino in aumento rispetto al 2009, i tassi di crescita (+4,6% per il Sud-America e +1% per il Centro-America) sono nettamente inferiori a quelli riscontrati nelle altre principali aree di approvvigionamento.

Di contro, aumenta per il secondo anno consecutivo il peso dell’area asiatica sulle importazioni agroalimentari italiane; tale quota raggiunge il 7% nel 2010, grazie ad un aumento in valore degli acquisti da parte dell’Italia pari al 22%. A trainare tale crescita sono i due principali prodotti di importazione provenienti dal mercato asiatico: i “crostacei e molluschi congelati” (+30%) e “l’olio di palma per uso non alimentare” (+57%).

L’UE 27 resta l’area di riferimento per le importazioni agroalimentari italiane con un peso che raggiunge il 71% e un valore che, grazie ad un incremento di oltre il 12%, supera i 2 miliardi di euro nel 2010.

La Germania si conferma, anche nel 2010, il principale cliente per il settore agroalimentare, mantenendo sostanzialmente stabile il proprio peso sulle esportazioni italiane (19,6%). Si riduce invece la quota destinata a Francia (-0,3%) e Regno Unito (-0,5%), secondo e terzo paese di esportazione per l’agroalimentare italiano. In particolare, l’incremento delle esportazioni verso il Regno Unito non raggiunge il 6%, valore nettamente al di sotto della crescita media del 2010; tale andamento è condizionato, infatti, dalle minori vendite di “pasta alimentare” e “altri legumi e ortaggi conservati o preparati”, in calo tra il 2 e il 6% nel 2010. Sempre dal lato delle esportazioni, si riduce leggermente il peso della Svizzera mentre aumenta quello della Spagna, che torna ad essere il quinto cliente per l’agroalimentare italiano. L’aumento delle vendite verso la Spagna (+9,2%) riguarda sia il settore primario che quello industriale, con variazioni particolarmente significative per i tre principali comparti di esportazione: “crostacei e molluschi congelati” (+23,6%), mele (+18,5%) e “altri prodotti alimentari” (+19%).

 

Il commercio agroalimentare: principali fornitori

Dei cinque principali fornitori dell’Italia, solo la Germania evidenzia una riduzione della propria quota che, nel 2010, si attesta al 14,6%. Resta, invece, invariato il peso dei Paesi Bassi (stabile all’8,4%) mentre cresce la quota di importazioni agroalimentari provenienti da Austria, Spagna e Francia.

Quest’ultima consolida il proprio ruolo di principale fornitore dell’Italia per l’agroalimentare, con una quota pari 16,4% nel 2010; ad eccezione dello “zucchero e altri prodotti saccariferi”, l’aumento degli acquisti dalla Francia riguarda tutti i principali comparti di importazione, con incrementi particolarmente rilevanti per quello zootecnico, il “frumento tenero e spelta” (+20%) e, soprattutto, cuoio e pelli (+126%).

Il marcato incremento degli acquisti agroalimentari dalla Spagna (+17%) permette a quest’ultima di superare la soglia del 10%, come quota sull’import agroalimentare italiano. A guidare tale andamento c’è, da un lato, l’olio d’oliva vergine ed extravergine (+35,2%), che rappresenta quasi un quinto dei flussi provenienti dalla Spagna, e, dall’altro, i “crostacei e molluschi congelati” che, grazie ad un aumento del 22,7%, raggiungono un valore delle importazioni di 218 milioni di euro nel 2010.

 

I comparti

Nel 2010 il peso dei prodotti dell’industria alimentare, molto elevato negli scambi agroalimentari del paese, resta stabile dal lato delle importazioni (66,5%) mentre si riduce di quasi un punto percentuale per le esportazioni, attestandosi al 78,8%. Di contro, il peso dei prodotti agricoli sulle vendite agroalimentari complessive supera la soglia del 20%, mentre, per i flussi in entrata, tale quota raggiunge il 31,5%.

Come conseguenza il saldo normalizzato migliora di quasi tre punti percentuali nel settore primario, attestandosi a -32,6%; peggiora invece leggermente nel settore dei trasformati, risultando pari a -3,2% nel 2010.

I primi cinque comparti di esportazione, che rappresentano oltre la metà dell’export agroalimentare dell’Italia, mostrano tutti un incremento delle vendite all’estero nel 2010; tra questi, solo i derivati dei cereali evidenziano una crescita modesta (+1,7%), mentre per gli altri comparti gli incrementi sono compresi tra l’11% (altri prodotti dell’industria alimentare) e il 21% (prodotti lattiero-caseari). In particolare, la crescita delle vendite dei prodotti lattiero-caseari è trainata dal parmigiano reggiano e grana padano, che rappresentano il 30% delle esportazioni del comparto.

Le vendite di questi prodotti, simbolo del made in Italy nel mondo, crescono infatti di oltre il 26% nel 2010 con incrementi significativi dei flussi verso tutti i principali mercati di sbocco (in particolare Germania, USA e Francia).

Al contrario, sono proprio le minori vendite di derivati di cereali verso i tre principali clienti (Germania, Francia e Regno Unito) a limitare la crescita complessiva dell’export del comparto. Il vino, invece, grazie all’incremento delle vendite all’estero superiore all’11%, si conferma il principale comparto di esportazione per l’agroalimentare italiano, con un valore che supera i quattro miliardi di euro nel 2010.

Anche tra i principali comparti di importazioni, sono i prodotti lattiero-caseari a evidenziare la crescita maggiore nel 2010. In questo caso, però, sono soprattutto i maggiori acquisti di latte (+35%) a giustificare tale andamento, con incrementi dei flussi che nel caso della Francia superano il 65%. Crescono di quasi il 20% anche le importazioni di oli e grassi, superando i 2,8 miliardi di euro nel 2010. Una quota importante di tale andamento è imputabile ai maggiori acquisti di olio d’oliva dalla Spagna, cresciuti del 36% rispetto al 2009. La Spagna si conferma, così, il principale fornitore di olio d’oliva (con una quota vicina al 73%) e in generale del comparto oli e grassi, per il quale gestisce oltre un terzo dell’import complessivo dell’Italia.

Le carni fresche e congelate si confermano il principale comparto di importazione con un valore degli acquisti pari a 4.350 milioni di euro e un peso sull’import agroalimentare italiano che supera il 12%.

 

I prodotti

Il primo dato ad emergere dall’analisi dei principali prodotti di esportazione è la contrazione delle vendite di “conserve di pomodoro e pelati” e di pasta alimentare, in un anno di generale ripresa delle vendite all’estero. Nel 2009, le “conserve di pomodoro e pelati” erano stati gli unici dei principali prodotti di esportazione a incrementare le vendite all’estero; l’andamento del 2010 è invece condizionato dal calo dei prezzi di esportazione verso Francia e Giappone e dai minori volumi esportazioni in Africa, con contrazioni che superano il 40%.

Per la pasta alimentare si conferma, sebbene con minore intensità, l’andamento negativo riscontrato nel 2009. Lo scorso anno, infatti, le vendite si erano contratte di oltre dodici punti percentuali, facendo perdere alla pasta il primato per valore esportato; nel 2010, le esportazioni in valore continuano a calare (-3%) ma tale andamento nasconde un incremento consistente dei volumi esportati (+4%), annullato dal netto calo della componente prezzi (-6,8%). Le vendite all’estero di altri due importanti prodotti del made in Italy, i prodotti dolciari a base di cacao e l’olio d’oliva vergine ed extravergine, crescono, invece, in valore di oltre il 10%; per entrambi, la crescita è dovuta, quasi esclusivamente, a un reale incremento dei volumi esportati, confermando una ripresa effettiva dei flussi in uscita dopo le performance negative del 2009.

Dal lato delle importazioni, nel 2010 l’aumento degli acquisti riguarda tutti i principali prodotti, sebbene con differente intensità. La crescita dell’import di pesci lavorati e “panelli, farine e mangimi”, rispettivamente primo e secondo prodotto di importazione, non raggiunge il 5%; rispetto al 2009 aumentano, invece, tra il 15% e il 20% gli acquisti degli altri principali prodotti (“olio di oliva vergine ed extravergine”, “carni suine semilavorate, fresche o refrigerate” e “crostacei e molluschi congelati”).

Per i pesci lavorati, i minori volumi importati dalla Germania (-26,3%) e dalla Francia (-33,7%) contrastano il netto incremento dei flussi provenienti da Spagna e Paesi Bassi, in crescita di oltre dieci punti percentuali. Come nel caso dei pesci lavorati e dell’olio d’oliva, anche per i “crostacei e molluschi congelati” è la Spagna a trainare la crescita delle importazioni italiane, confermando il ruolo di principale fornitore per questi prodotti.

Nel 2010 valgono, infatti, quasi 220 milioni di euro le importazioni di “crostacei e molluschi congelati” provenienti dalla Spagna che, grazie a un incremento in valore del 22,7%, raggiunge una quota paese vicina al 20%.

 

La bilancia agroalimentare per origine e destinazione dei prodotti

Attraverso la bilancia per “origine e destinazione” è possibile analizzare gli scambi dei prodotti agroalimentari sulla base della loro provenienza (settore primario o industria alimentare) o destinazione (consumo diretto, fattori di produzione per l’agricoltura e per l’industria alimentare); vengono, così, identificati quattro gruppi di prodotti relativi al settore primario e quattro riguardanti i trasformati.

Nel 2010, dopo il trend di crescita registrato negli ultimi anni, la quota delle esportazioni destinata al consumo finale resta sostanzialmente invariata (84%) rispetto all’anno precedente; tale stabilità è dovuta alla crescita della quota proveniente dal settore primario (+1,5%) e alla contestuale contrazione di quella riferita all’industria alimentare, che scende sotto la soglia del 70%. Si riduce leggermente, per il secondo anno consecutivo, anche l’incidenza dei prodotti trasformati che vengono reimpiegati nell’industria alimentare, pari nel 2010 al 6%.

Dal lato delle importazioni, a differenza di quanto avvenuto nel 2009, si registra nel 2010 una significativa contrazione della quota di prodotti agroalimentari destinati al consumo finale; anche in questo caso è la componente industriale ad evidenziare il calo più marcato. Cresce invece, sempre in riferimento alle importazioni, l’incidenza della componente “altri prodotti dell’Industria Alimentare”, che raggiunge così il 6,7%.

 

Le regioni

Per quanto riguarda gli scambi agroalimentari, il Nord Italia conferma il ruolo di assoluto rilievo sia dal lato delle esportazioni, con una quota superiore al 69%, sia per le importazioni, con un peso vicino al 71%; entrambi i valori risultano in leggero calo rispetto al 2009. All’interno dell’area settentrionale, quattro regioni (Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte) concentrano quasi i due terzi degli scambi agroalimentari nazionali (circa il 59% delle vendite all’estero e il 62,2% degli acquisti); tra queste è la Lombardia a conservare il primato a livello nazionale, nonostante un ridimensionamento della quota regionale pari all’1% sia per gli acquisti (pari al 25%) che per le vendite agroalimentari all’estero (16,3%). I

l peso delle regioni meridionali non raggiunge, invece, la soglia del 15% per le importazioni e supera di poco il 19% per le esportazioni.

A tale proposito bisogna segnalare un leggero incremento dell’incidenza del Sud Italia nel 2010, con un aumento dello 0,4% per l’export e dello 0,7% dell’import; di contro, si riduce leggermente il peso delle regioni settentrionali mentre rimane sostanzialmente stabile quello delle regioni del Centro (13,2% per gli acquisti e 10,6% per le vendite agroalimentari all’estero).

La ripresa degli scambi agroalimentari registrata nel 2010 riguarda sostanzialmente tutto il territorio nazionale, con incrementi significativi sia dei flussi in entrata che di quelli in uscita. In quattro regioni, tre delle quali appartenenti all’area meridionale, l’aumento delle importazioni supera i venti punti percentuali, determinando un incremento degli acquisti di oltre il 18% nel Sud Italia. Meno marcata, sebbene significativa, è la crescita dell’import agroalimentare al Centro e al Nord (+12%).

Come per le importazioni, anche dal lato delle esportazioni è il Sud Italia ad evidenziare il maggiore tasso di crescita (+15,6%), con incrementi superiori al 30% per metà delle regioni meridionali. Al Centro, vanno segnalati gli andamenti delle Marche e del Lazio, con incrementi delle vendite superiori al 17% per entrambi. Al Nord, quasi tutte le regioni mostrano incrementi delle esportazioni compresi tra il 10% e il 20%; le uniche eccezioni sono rappresentate dalla Lombardia (+8,6%) e dalla Valle d’Aosta che, grazie ai maggiori flussi in uscita di bevande, prodotti lattiero-caseari e carni, raddoppia le proprie esportazioni agroalimentari nel 2010.

A livello nazionale, le uniche due regioni a mostrare una contrazione degli flussi agroalimentari nel 2010 sono la Sardegna (-4,9% per le esportazioni) e la Basilicata (-19,8% per le importazioni). Per la Sardegna, il calo è imputabile quasi esclusivamente alla netta contrazione delle vendite di prodotti lattiero-caseari (-15%); più generalizzato è, invece, il calo delle acquisti della Basilicata che coinvolge, oltre al comparto lattiero-caseario, anche quello zootecnico e cerealicolo.

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