CERIGNOLA (FG). Il primo cittadino di Cerignola si fa portavoce delle richieste arrivate in tal senso dagli imprenditori agricoli, gravemente oberati da un’imposta considerata eccessiva. Secondo il Sindaco “equiparare l’Iva a quella degli altri prodotti sarebbe una misura socialmente equa, graverebbe molto marginalmente sul bilancio dello Stato ed eviterebbe forme di illegalità”.

La riduzione al 4% dell’aliquota Iva sull’uva da vino, per non compromettere il valore economico delle attività di produzione degli imprenditori agricoli. E’ la richiesta che il sindaco, Antonio Giannatempo, ha avanzato al ministro per le Politiche Agricole, Giancarlo Galan, facendosi portavoce dei disagi dei viticoltori del nostro territorio, da questi ultimi manifestati in una riunione tenutasi nei giorni scorsi a Palazzo di Città.

Un incontro al quale erano presenti, oltre a Giannatempo, Pasquale Barrasso, direttore dell’Agenzia comunale per l’Agricoltura, Salvatore Morano, presidente della Consulta per le Attività Produttive e i rappresentanti locali delle associazioni di categoria, vale a dire Onofrio Giuliano, presidente dell’Unione Agricoltori; Nicola Giordano, presidente della Coldiretti; Leonardo Lionetti, responsabile della Confederazione Italiana Agricoltori, e Damiano Paparella, responsabile della Copagri, insieme a un gruppo di agricoltori aderenti alle diverse associazioni.

Ed è un quadro che si conferma a tinte fosche quello disegnato dagli addetti ai lavori, i quali chiedono interventi concreti al ministero e alla Regione Puglia per sostenere concretamente il settore. Tra gli elementi che destano maggiore preoccupazione rientra appunto la pesante incidenza dell’aliquota Iva sul costo del prodotto . Un’incidenza tanto più grave se si pensa che questa viene versata dagli imprenditori ancor prima di incassare i guadagni della vendita dell’uva. “Per darci un po’ di respiro, in un momento di crisi come questo – hanno sottolineato gli operatori – è necessario portare dal 10% al 4% l’aliquota, come per tutti gli altri prodotti agricoli”.

Una posizione, questa, condivisa da Giannatempo, che chiede al ministro di essere ricevuto insieme a una delegazione di produttori “per verificare se le istanze che sottoponiamo con questa lettera possano trovare una soluzione condivisa con gli uffici del Ministero”. “C’è un vizio del mercato che comprime il valore economico delle attività di produzione di uva da vino – così scrive il sindaco a Galan – in virtù di un regime dell’imposta sul valore aggiunto che costituisce un carico insostenibile e che, spesso, rende improduttive le attività di coltura e raccolta”.

Nella lettera, inviata per conoscenza al presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola; all’ assessore regionale all’ Agricoltura, Dario Stefàno; al presidente della Provincia di Foggia, Antonio Pepe, al presidente della Provincia Bat, Francesco Ventola; agli assessori alle Politiche agricole della Provincia di Foggia e della provincia Bat, rispettivamente Savino Santarella e Domenico Campana,  Giannatempo ricorda al ministro che “il 90% delle imprese agricole del foggiano e della Puglia operano in regime forfettario per quanto riguarda l’Iva, che dovrebbe compensare la tassa pagata con il guadagno incassato. Purtroppo ciò non avviene in quanto i viticoltori incassano al 4 % e pagano al 20 % prodotti, utensili e tutto il necessario al loro lavoro. In più, i coltivatori di uva da vino devono integrare la differenza tra l’aliquota forfettaria del 4 % con quella del prodotto, che è al 10 %. In sostanza è come se, presupponendo che l’uva da vino è un prodotto succedaneo dello stesso, l’agricoltore producesse direttamente vino”.

Tutto ciò costituisce un elemento distorsivo che ha come conseguenza “un lucro cessante, determinato in particolare dalla crisi del settore, ed un danno emergente, evidenziato da una tassa pagata in modo non propriamente equo”. L’abbassamento dell’aliquota Iva al 4%, oltre che essere una misura di equità sociale,  secondo il sindaco di Cerignola “avrebbe un’incidenza minima sul bilancio dello Stato, visto che, considerati i prezzi al ribasso, l’introito fiscale annuo si ridurrebbe di poche decine di milioni di euro. Una riduzione, questa, che, tuttavia, sarebbe compensata da una minore evasione e dalla maggiore circolazione economica del vantaggio per i produttori ed inoltre eviterebbe o ridimensionerebbe forme di illegalità diffusa”.

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