Oltre un miliardo di chili di pasta “italiana” all’anno sono prodotti con grano extracomunitario senza alcuna indicazione in etichetta perché non è ancora obbligatorio indicare la provenienza della materia prima utilizzata.

E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti impegnata nella mobilitazione a difesa del Made in Italy ai porti e alle frontiere, in occasione della Giornata Nazionale dell’ Anticontraffazione promossa, per sensibilizzare sul crescente fenomeno della contraffazione, dalla Confindustria con il patrocinio e la diretta collaborazione della Direzione Generale per la Lotta alla Contraffazione-UIBM del Ministero dello Sviluppo Economico, oltre che del Dipartimento per le Politiche Comunitarie della Presidenza del Consiglio e del Ministero degli Affari Esteri.

Dall’analisi elaborata dalla Coldiretti emerge che circa il 40 per cento del grano duro extracomunitario viene importato dal Canada, il 20 per cento dal Messico, il 15 per cento dagli Stati Uniti, il 14 per cento dall’Australia e a seguire Turchia e Kazakistan.

Una realtà che è stata verificata direttamente durante la mobilitazione dei coltivatori della Coldiretti come al Porto di Ancona dove sotto gli occhi increduli dei coltivatori della Coldiretti sono sbarcate addirittura  venti tonnellate di pasta “italiana” fatta direttamente in Grecia già confezionata con il nome di una nota marca del Made in Italy mentre al porto di Bari la Goletta Gialla Coldiretti è andata all’arrembaggio di due navi cariche di grano: la nave Federal Danube proveniente dal Quebec e battente bandiera cipriota, è carica di 23 mila tonnellate di grano e l’altra, la Pyrgos proveniente da Antigua – Barbados, di cui batte anche bandiera, con un carico di 4mila tonnellate di grano.

Il risultato è che un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero ma i consumatori non lo sanno perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. Un traffico che favorisce le speculazioni dal campo alla tavola con un chilo di grano che è venduto in Italia, su valori simili a quelli di venti anni fa, al prezzo di circa 16 centesimi mentre un chilo di pane è acquistato dai cittadini a valori variabili attorno ai 2,65 euro al chilo, con un ricarico del 1500 per cento.

Secondo i dati Ismea – riferisce la Coldiretti – la campagna 2008/09 si è conclusa con prezzi all’origine diminuiti rispetto a quella precedente, del 41 per cento per il grano duro. Una situazione che mette a rischio la coltivazione Made in Italy come conferma il crollo delle semine di grano duro, tenero, orzo e avena, le cui superfici nella campagna in corso sono diminuite del 6 per cento rispetto al 2009, secondo i dati del bollettino Agrit che evidenzia la riduzione degli ettari in un anno da2,27 a 2,13 milioni.

Rispondi

Please enter your comment!
Please enter your name here