Il termine sartú denuncia il fatto che questo piatto abbia un’eredità francese e che probabilmente deriva dalla cucina internazionale con le solite correzioni alla “napoletana”.

Cosa significa sartù?

In francese surtout significa “soprattutto“, volendo indicare o una sorta di mantello messo al di sopra di tutti gli abiti o che nelle mense gentilizie di Francia un piatto di riso era al di sopra di tutto, cosa inconcepibile per i napoletani, che lo consideravano uno sciacquabudella, un alimento leggero adatto ai malati.

Quindi il riso lo si rese più appetibile a Napoli ungendolo di ragú, imbottendolo di leccornie varie e foderandolo di pangrattato, pronto per essere cotto in forno.

Il Duca Ippolito Cavalcanti, di cui si é già discusso in precedenza (vedi https://rosmarinonews.it/napoli-meta-ottocento-il-duca-ippolito-cavalcanti-il-piu-stravagante-dei-gastronomi/), nel 1837 descrive dettagliatamente nella sua opera questo piatto.

E così scrisse:

“Prendi un rotolo e mezzo di riso, ma che sia di quello forte, lo lesserai nel brodo chiaro, e in mancanza anche nell’acqua, sia pure per economia, perché vale lo stesso.

Quando il riso sarà cotto, ma non scotto, ci porrai un terzo, ossia once undici di permeggiano o caciocavallo, e un pane di butiro (purchè non l’avrai cotto nel brodo), ci farai un battuto di dodici ovi, e mescolerai tutto ben bene: indi farai raffreddare questa composizione e poscia prenderai la casseruola proporzionata per formare il sartù, facendoci una inverniciata di strutto con una uguale impellicciata di pan gratto.

Poscia ci porrai la mettà del riso già intiepidito e con una mescola leggiermente lo adatterai facendoci un concavo nel mezzo, ove porrai il solito raguncino che più volte ti ho detto per i timpani: al di sopra ci porrai l’altra mettà del riso e con le mani l’accomoderai in modo che vada tutto bene incassato, faacendoci al di sopra una ingranita di pan gratto con de’ pezzettini di strutto.

Gli darai la cottura come al timpano con la pasta, versandoci uno o due coppini di sugo, cioè a pummarola“.

La ricetta del Cavalcanti non si può definire leggera, da quanto si evince, poiché fa uso di burro, strutto e formaggi. La versione più contemporanea della ricetta oltre che basarsi sulla perfezione a livello estetico del sartú, che deve avere la tipica forma compatta a cilindro, quindi esser realizzato in uno stampo alto tra i 12-13 cm, é molto più ricca e prevede l’aggiunta di salsiccia, piselli, salame, carne trita, pancetta e provola.

Si suggerisce la ricetta più attuale e tradizionale, poi non resta che a voi la scelta…

La ricetta del sartù di riso

INGREDIENTI
500 g di riso Carnaroli
sugo di ragú q.b.
250 g di carne trita di manzo e maiale
100 g di Parmigiano Reggiano
1 kg di piselli freschi
200 g di provola
4 salsicce
100 g di salame
100 g di pancetta
1 confezione di pane grattugiato
4 uova
3 uova sode
50 g di burro

PROCEDIMENTO
Con la carne trita, del pane raffermo e due uova preparate le polpettine che friggerete in olio. Fate cuocere poi le salsicce all’interno di un buon ragú ristretto. Tagliate a spicchi le uova sode. Saltate i piselli nel burro, tagliate a dadini la provola e il salame.

Cuocete quindi il riso in abbondante acqua salata e scolatelo al dente, considerando che continuerà a cuocere in forno. Conditelo subito con il ragú, con il parmigiano e con 2 uova che serviranno a legarlo. Avrete intanto già unto e spolverizzato di pangrattato uno stampo alto e a forma di cilindro; versatevi una parte del riso e foderatelo come una scatola che riempirete con il ripieno abbondantemente cosparso di sugo.

Dopo aver chiuso la scatola di riso cospargetela di pangrattato e di qualche pezzettino di burro. Passate in forno a 220 gradi e non appena sarà imbiondita la crosta esterna, capovolgete il sartú e portatelo a tavola su un piatto rotondo.

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