Mentre il clima cambia sempre più decisamente, Positano continua, seppur in maniera meno caotica, a rimanere il grande attore e attrattore della Costiera Amalfitana, grazie ad una scenografia unica al mondo, dovuta a quelle casette che sembrano cadere a cascata dal Monte Sant’Angelo a Tre Pizzi, quasi che la mano di un gigante le avesse fatte scivolare giù, un po’ a casaccio, fino al mare.
È il momento dei turisti stranieri e c’è anche il ritorno degli americani. In fondo, se Positano nel secolo scorso è diventato un luogo mitologico lo si deve anche a loro.
Ma ripercorriamone insieme la storia, dall’inizio.

La storia di Positano

É difficile dire quando sia sorto questo paese singolare, derivato probabilmente dalla progressiva fusione dei primi nuclei e casali. Di certo vi furono insediamenti preistorici nel Mesolitico, come dimostrano i reperti rinvenuti nella grotta La Porta, e vi passarono i Fenici e i Greci, che utilizzarono gli isolotti Li Galli come approdo commerciale.

Le prime tracce concrete, tuttavia, risalgono al periodo romano, con la costruzione di una villa patrizia a ridosso della spiaggia da parte di un liberto di Claudio Augusto di nome Posides Spado, e da praedium Posidetanum potrebbe derivare il toponimo Positano.

L’arrivo di altre genti romane, in fuga dopo il crollo dell’impero e, successivamente, dei monaci Basiliani dall’Oriente, fece sorgere i primi aggregati urbani. Successivamente Positano condivise con gli altri paesi della Costiera oneri e onori, sia nella lotta alle scorrerie barbaresche, sia nella gloria del periodo del Ducato di Amalfi, di cui Positano fu parte integrante.

Nel 1343 il paese subì anche il terribile maremoto che colpì tutta la costa e portò lutti e devastazione, fu saccheggiata dai pirati Saraceni nel 1440 e a memoria di questo e di altri simili eventi furono fatte erigere anche qui le torri di avvistamento e difesa, conosciute come Torre di Fornillo, Torre Trasita e Torre Sponda.

Successivamente, per tutto il Settecento, Positano conobbe un periodo di floridi commerci, tanto da essere appellata “Montagna d’Oro”, in cui sorsero le belle dimore settecentesche, come Palazzo Murat, che oggi impreziosiscono il paese. Successivamente, però, ebbe inizio un progressivo declino, che ebbe il suo culmine subito dopo l’unificazione d’Italia e in coincidenza con le nuove vie del commercio marittimo, sempre più protese verso il nuovo continente.

Positano divenne teatro di emigrazione di massa, la popolazione si ridusse in pochi anni di un terzo, il rione Liparlati si svuotò completamente, tanto da essere denominato La Città Morta. La fuga verso gli Stati Uniti, in cerca di nuova fortuna, sembrava inarrestabile e Positano, intanto, era diventata poverissima.

L’arrivo del turismo a Positano

A fine Ottocento la salvezza arrivò sotto forma di una strada rotabile. Fino a quel momento il paese era accessibile solo da mare o a mezzo di impervi sentieri di montagna che, più che unire, la separavano dal resto del mondo.

Il tanto suggestivo Sentiero degli Dei, oggi frequentato da entusiasti escursionisti, era la sola via di comunicazione con quello che c’era al di là delle montagne. Arrivò, dunque, la strada e con essa il collegamento fino a Salerno, Sorrento e Napoli. All’improvviso si era aperta una nuova porta da cui fecero capolino i primi turisti del ventesimo secolo appena iniziato.

Non era gente comune. Si trattava di artisti stranieri, soprattutto russi e tedeschi, in cerca di nuovi paesaggi, emozioni ed ispirazioni. E in Positano essi trovarono tutto questo. Era l’epoca in cui Siegfried Kracauer definiva sé stesso e i suoi amici “prigionieri volontari di uno scenario mitologico”.

Scalinatella di Positano

La voce si sparse rapidamente e iniziò un piccolo ma costante flusso immigratorio d’elite, rappresentato da scrittori, pittori, poeti, musicisti, drammaturghi, coreografi e rappresentanti di tutte le arti che qui trovarono una nuova casa e una nuova vita e che registrò una ulteriore spinta durante il ventennio fascista, quando Positano divenne il rifugio di indesiderati e perseguitati dalle leggi razziali che stavano gettando un’ombra scura su gran parte dell’Europa.

Finita la guerra, la fama di Positano aveva raggiunto ormai ogni angolo d’Italia e d’Europa, mentre agli americani la fece conoscere John Steinbeck con un articolo sulla popolare rivista Harper’s Bazar, pubblicato nel 1953.

Negli stessi anni fiorì anche quella “moda Positano” che oggi è scenografia espositiva di negozi e bottegucce che affollano le strette vie del paese. La tradizione della sartoria positanese non è recente e affonda le sue radici nell’antica arte del canovaccio, nata durante la Repubblica di Amalfi per la copiosa necessità di sartiame per le galee e i navigli. Ridottasi l’attività cantieristica, l’attività non cessò, ma fu riconvertita alla produzione di panni, biancheria e corredi per le spose.

A Positano si lavorava anche la seta, dopo che dal mondo arabo erano stati introdotti i bachi e la coltivazione del gelso, ma quest’ultima attività cessò repentinamente alla fine del XVIII secolo per una pestilenza che colpì tutti gli allevamenti. La “moda Positano” nacque dalla fusione dell’antica tradizione artigianale con nuovi impulsi provenienti anche da parte di artisti stranieri, come Irene Kowaliska, che già aveva fatto rifiorire con interpretazioni e idee nuove la ceramica vietrese.

Positano: un borgo da scoprire a piedi

L’assetto urbanistico di Positano non permette, nemmeno ai nostri giorni, una percorribilità con mezzi a motore se non fino alla fine di via Pasitea, da dove, se non si è lasciata l’auto in uno dei vari parcheggi pubblici, inizia una obbligatoria risalita verso la statale.

Il paese si esplora a piedi, possibilmente indugiando con occhio attento a dettagli architettonici e alle botteghe artigiane che passo dopo passo accompagnano il visitatore fino alla Spiaggia Grande, passando per la Chiesa dell’Assunta con la bellissima cupola maiolicata a elementi blu e gialli, la più imponente di tutta la Costiera, vero simbolo iconografico di Positano.

Tuttavia, il percorso che porta al mare e che permette di ammirare dalla spiaggia il paese che si arrampica sulla montagna, è quello di chi a Positano si ferma un solo giorno, o poche ore.

Questo luogo unico al mondo merita sicuramente un’esplorazione più dettagliata, alla scoperta dei suoi prestigiosi palazzi settecenteschi, delle sue chiese, degli splendidi affreschi della villa romana che si trovano proprio sotto la cattedrale, dei negozi di sartoria artigianali, di ceramiche, di limoni e prodotti tipici e, non da ultimo, della sua storia.

Se anziché scendere verso la spiaggia si decide di salire, si potranno percorrere le strette vie e le scale dei rioni più antichi di Positano, Chiesa Nuova e Liparlati, e le sue frazioni più alte, Montepertuso e Nocella, queste ultime fino a non molti anni fa raggiungibili solo a mezzo di scale e sentieri perché non c’era ancora l’attuale strada che le collega.

Da Nocella si può percorrere il Sentiero degli Dei, un vero tuffo nella storia e nel paesaggio con una splendida vista verso Li Galli, i tre isolotti di Positano anticamente chiamati Le Sirenuse, un nome che incarna perfettamente il mito di questo spettacolare angolo di Costiera Amalfitana.

Positano e John Steinbeck

E alla fine, ricordiamo le parole di John Steinbeck, premio Nobel per la letteratura, che elevarono Positano a luogo del mito:

Positano colpisce profondamente. È un posto di sogno che non vi sembra vero finché ci siete ma di cui sentite con nostalgia tutta la profonda realtà quando l’avete lasciato.

Le sue case si arrampicano su un pendio talmente ripido da sembrare una scogliera, se non fosse per le scale che vi sono state tagliate. Mi viene da pensare che le fondamenta di Positano, al contrario di tutte le altre, debbano essere orizzontali.

L’acqua della piccola baia ricurva, di un blu verde incredibile, lambisce dolcemente una
spiaggia di piccoli ciottoli. C’è una sola stradina, e non arriva sulla spiaggia.

Tutto il resto è scale, alcune ripide come quelle a pioli. Non camminate, se andate a trovare un amico: vi arrampicate o vi calate.

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