Sono davvero dispiaciuto di non poter partecipare a questo evento, perché la Maremma è la mia terra, una terra dove torno sempre volentieri. Ci sono andato anche questa estate, per le mie vacanze, e sono stato nella zona di Pitigliano, Sovana e Sorano. Perché ho trascorso le vacanze in Maremma? Perché è una terra splendida, la cui storia mi emoziona, i cui paesaggi mi lasciano incantato. Anni fa, a uno chef di Kyoto con cui ho lavorato in Giappone, venuto in Italia per fare un giro turistico, ho consigliato di visitare assolutamente la Maremma.
Lui ha seguito il mio consiglio e con una macchina a nolo l’ha attraversata. A un certo punto ha fatto fermare la macchina, è sceso e ha chiesto all’autista: “Scusi, dov’è San Pietro?” “Non siamo a Roma” “Sì, lo so, ma questo è il paradiso in terra”. Aveva di fronte una di quelle terre immacolate che i macchiaioli hanno reso così bene in pittura. Ecco, io torno qui per i paesaggi, per la storia, per la gente. E poi perché nei piatti di questa terra c’è la storia. La Maremma ha un paesaggio unico in Italia e in Europa, forse solo la Camargue ha delle assonanze: un paesaggio rurale contadino selvaggio, impregnato di storia.
Quali ricordi gastronomici sono collegati a questa terra?
È una storia difficile da riassumere. Parte dagli etruschi, che per primi hanno compreso l’importanza dell’olio per il suo uso alimentare, ma che ha radici anche nella grande tradizione contadina e pastorale di questa terra. Penso ai formaggi, a una tradizione ovicola rinsaldata nel Novecento dalla forte immigrazione di pastori sardi giunti in Maremma. Penso alla coltivazione dei legumi, ingredienti essenziali di molte ricette toscane. Penso al pane di grano spezzato cotto alla pietra.
Penso alla selvaggina, al cinghiale, ai tordi, ai colombacci, che ancora oggi mi faccio arrivare nel mio ristorante. E se devo citare un piatto, penso all’acqua cotta, alla sua essenzialità, che non rinnega il gusto, anzi, lo esalta.
È una bontà che non fa solo bene al palato, ma anche alla salute. La semplicità di acqua, uova, verdure, pecorino, pane raffermo: non c’è nulla di meglio, e credo che chiunque si metta dietro ai fornelli dovrebbe partire da piatti come questi, che poi si ritrovano in ogni regione italiana, perché qui c’è la storia dell’Italia, non solo gastronomica. Se dimentichi una pasta con le sarde siciliane, dimentichi Pirandello. Se a Milano non fai il risotto alla milanese con l’ossobuco equivale a dire che il Manzoni è uno scribacchino. Dimenticarsi l’acqua cotta, in Maremma, significa rinnegare la sua incredibile storia.
Parliamo dei legumi, che sono un vero simbolo toscano.
Io e un mio amico professore toscano, esperto di storia etrusca nutriamo dei dubbi sul fatto che i legumi siano tutti originari delle Americhe. Secondo noi l’utilizzo in Maremma è precedente e risale ai tempi dei Romani. Qualunque sia la storia, comunque, è certo che i legumi sono un elemento fondamentale della tradizione gastronomica toscana e maremmana. Quando discuti con certe signore anziane, che parlano della cucina delle loro gioventù, fagioli, lenticchie, cicerchie sono ingredienti più volte citati. E questa storia non si ferma a loro, ma è la cucina dei nonni, e dei nonni dei nonni. Insomma, è l’identità di questa terra. Quando vengo in Maremma vado personalmente a cercare alcuni fagioli da vecchi produttori, dei ceci fantastici che solo qui trovo. La storicità di questi legumi è certificata anche dal fatto che i fagioli di Sorana sono stati i primi fagioli italiani a essere stati Igp, risultato per il quale mi sono personalmente battuto.
La Maremma sta diventando la nuova frontiera del turismo toscano. Cosa si auspica in questo importante passaggio?
È un successo meritato. Ma in nome del turismo non devono andar perdute le caratteristiche essenziali di questa terra, le sue peculiarità. Il cuore della Maremma, il suo entroterra, penso a San Rossore, per esempio, deve rimanere inalterato: una distesa, di terra, latifoglie e boschi. La sua bellezza sta in questo. È un discorso in parte egoistico, ma vorrei che la Maremma restasse quella che ho conosciuto da bambino, e che ancora ora scorre davanti ai miei occhi. Perché proprio in questo sta la sua bellezza: non è cambiata, non è stata cementificata, ha mantenuto un aspetto arcaico, naturale.