lavandula stoechas, sardegnaSmalto sì smalto no
Che dire di smalti e levasmalti? Difficile per una donna non cedere alla tentazione delle unghie laccate. Adesso poi ci si può davvero sbizzarrire nei colori più disparati! Lo smalto però, lo dice il nome stesso, è un concentrato di sostanze chimiche tossiche: formaldeide, ftalati, toluene, acetone. Un ingrediente vietato in Europa ma consentito all’estero (e spesso celato sotto la voce “profumo”) è il dibutyl phthalate (DBP), una sostanza altamente tossica. Fortunatamente, si cominciano a trovare in commercio anche smalti (e levasmalti) certificati vegan e cruelty-free, come quelli del marchio Priti NYC (acquistabili sul sito www.sikerbe.it), e smalti privi di toluene, formaldeide, DBP, come quelli di Zoya e Benecos. C’è da dire che ancora non esistono smalti del tutto bio, perciò la cosa migliore è limitarne il più possibile l’uso: ne trarranno vantaggio anche le unghie che così saranno libere di respirare!
Chimica detergente: l’impatto sull’ambiente…
Ogni detersivo, per definizione, ha bisogno dei tensioattivi, sostanze la cui funzione è duplice: legarsi allo sporco ed essere lavati via dall’acqua. Fino a qualche tempo fa, i tensioattivi di tutti i detersivi più comunemente commercializzati provenivano da derivati del petrolio (perciò non biodegradabili), sostanze che si accumulano negli organismi acquatici, intossicandoli. Nel 2004, la risoluzione 648 del Parlamento Europeo ha fissato la biodegradabilità dei tensioattivi contenuti nei detergenti al 60% entro 28 giorni dallo smaltimento. Molte aziende sono quindi passate alla produzione di tensioattivi di origine vegetale (i più usati, olio di cocco e olio di palma) che però provengono dai terreni un tempo occupati dalle foreste tropicali, rase al suolo per far posto alle piantagioni (Indonesia e Malesia sono i principali paesi produttori). Come se non bastasse, c’è da considerare anche l’impatto della lavorazione industriale, per esempio per l’aggiunta di additivi (ognuno dei quali ha un suo impatto ambientale) e il confezionamento: per produrre un flacone di circa 60 g sono necessari 240 l di acqua e 1,5 kW di energia. Il dato è ancor più sconcertante se consideriamo che solo nel nostro paese ogni anno vengono prodotte oltre un milione di tonnellate di detersivi, destinate alle famiglie italiane… una cifra enorme!
Qualche dato sui pannolini usa e getta per bambini
Quando hanno fatto la loro comparsa sul mercato, i pannolini usa e getta sembravano davvero una grande invenzione. E’ bastato qualche decennio, però, perché quell’immagine idilliaca venisse drasticamente ridimensionata. Realizzati con fibre sintetiche e contenenti prodotti chimici, tra i quali decoloranti e diossina, i pannolini usa e getta sono causa di irritazioni (talvolta molto serie) alla pelle dei neonati e di gravi danni all’ambiente. Per ogni bimbo si consumano circa 6500 pannolini usa e getta; solo in Italia, ogni giorno ne finiscono in discarica 6 milioni, che rappresentano circa il 4% dei rifiuti domestici! Se confrontati con i pannolini in tessuto naturale, le cifre parlano chiaro: producono 60 volte più rifiuti e per la loro produzione sono necessari il 25% in più di terreno e più del triplo di energia; inoltre per degradarsi impiegano circa 500 anni, rilasciando nell’ambiente sostanze inquinanti.
Sapone: occhio a quello giusto!
Uno dei prodotti che maggiormente utilizziamo è il sapone: ognuno di noi si lava le mani più volte al giorno, tutte le volte che è necessario o ne sente il bisogno. Purtroppo, però, i saponi comunemente in commercio non sempre rispettano le esigenze della pelle e possono risultare aggressivi. Un sapone davvero rispettoso della salute deve avere i seguenti requisiti: non contenere le sostanze di cui abbiamo già parlato in altre parti del libro e avere un pH non superiore a 10 e non inferiore a 8. È bene ricordare che i saponi con pH inferiore a 8 sono ottenuti sinteticamente dalla combinazione di tensioattivi (che aumentando la solubilità in acqua dello sporco ne favoriscono la rimozione), agenti schiumogeni e regolatori di pH. Tra i migliori saponi in commercio vi sono quello di Marsiglia (occhio alle contraffazioni: il vero sapone di Marsiglia contiene soltanto olio, Olea europaea Oil, soda e acqua) e quello di Aleppo (fatto con olio d’oliva e alloro), certificati e naturali al cento per cento. In alternativa, ecco una ricetta per fare in casa un buon sapone aromatizzato agli agrumi.
Saponette al profumo di agrumi
• 150 g sapone di Marsiglia puro
• 100 g scorza di arance e limoni non trattati • talco q.b.
• 2 cucchiai olio extravergine d’oliva • 1/2 tazza acqua
Grattugiate il sapone a julienne, tagliate a pezzi le scorze e frullatele con l’acqua fino a ottenere una crema. Mettete tutto in pentola e fate cuocere a bagnomaria per 15 minuti mescolando. Quando il composto sarà uniforme unite l’olio ed emulsionate. Versate in uno stampo di silicone da plumcake, che spolvererete con del talco, e fate raffreddare. Togliete dallo stampo e tagliate il sapone a pezzi. Adagiate le saponette su fogli di carta bianca e, girandole ogni tanto, fatele seccare per una settimana.
Spazzolini a minor impatto ambientale
Fortunatamente, esistono già soluzioni più amiche dell’ambiente. A partire dagli spazzolini con le testine intercambiabili (che consentono una riduzione del volume dei rifiuti) per arrivare a quelli ionici (come il giapponese Soladey J3X, acquistabile on line al sito www.soladey-eco.com): questi ultimi contengono un’asticella di metallo costituita da un materiale che, se attivato dalla luce solare, produce elettroni che consentono di rimuovere la placca senza bisogno del dentifricio. Esistono, comunque, soluzioni ancora migliori: per esempio, quelli in legno e con setole ecologiche, così come quelli in bambù con setole biodegradabili (Bogobrush). Negli Stati Uniti, grazie al progetto Gimme 5, ogni volta che si deve cambiare lo spazzolino, si può portarlo al produttore che provvederà a smaltirlo o riciclarlo. Un’alternativa può essere quella di usare un po’ di creatività… non buttiamo lo spazzolino, ma regaliamogli nuova vita impiegandolo per usi alternativi (brico, pittura, pulizia di piccoli oggetti elettronici).
Anche la carta igienica inquina…
Morbida e profumata, la carta igienica è uno di quegli elementi rassicuranti all’interno del nostro bagno: impossibile farne a meno! C’è da sapere però che più una carta è morbida e maggiore è la quantità di fibra vegetale utilizzata per la sua produzione (e quindi gli alberi abbattuti), più è candida e più sono i processi chimici di sbiancamento a cui è stata sottoposta (a discapito dell’ambiente) e maggiore la quantità d’acqua necessaria per produrla. Negli Stati Uniti, solo il 2% della carta igienica usata proviene da carta riciclata (in questo noi europei siamo più virtuosi con un buon 40%), a discapito delle foreste del Canada e del Sud America, dalle quali dipende la vita di moltissime specie animali. Ogni 1800 rotoli di carta igienica viene sacrificato un albero di foresta vergine e viene immessa nell’atmosfera un’elevata quantità di gas tossici per la successiva fase di produzione.

Il mercato dei fiori non è etico
All’enorme impatto ambientale si aggiungono le condizioni alle quali sono sottoposti i lavoratori, continuamente esposti a una massiccia quantità di sostanze chimiche nocive per la salute (si registrano soprattutto problemi di fertilità e difetti genetici dei feti), sfruttati e privati dei più elementari diritti. È il caso delle donne (che costituiscono circa il 60% della manodopera destinata alla floricoltura): secondo i dati diffusi da Fiori e Diritti, quasi il 50% delle lavoratrici del Kenya è oggetto di molestie sessuali (ma questo è un dato piuttosto diffuso nella maggior parte delle piantagioni del Sud del mondo); vengono inoltre private di ogni diritto e retribuzione in caso di gravidanza che, spesso, a causa del pesante lavoro a cui sono obbligate, si conclude in aborto. Ed è il caso dei minori: secondo una ricerca dell’International Labour Organization (www.ilo.org), sono circa il 20% i lavoratori minorenni impiegati nelle piantagioni dell’Ecuador. In ogni caso, le retribuzioni sono sempre nettamente inferiori al fabbisogno delle famiglie.
… E se a casa ho il parquet?
Croce e delizia di chi lo possiede, il parquet è una delle superfici più delicate da mantenere. Generalmente, i tanto declamati prodotti ad hoc vanno usati soltanto quando il legno comincia a perdere lucentezza. Quindi la regola è: facciamone a meno… ma se proprio non ci riusciamo, usiamoli solo quando è indispensabile. Per i normali lavaggi sarà sufficiente un panno in microfibra da strizzare bene e immergere in acqua e aceto, nelle proporzioni di 4 a 1. Questo vale per il parquet non verniciato. Per i parquet trattati, non va assolutamente usato l’aceto (che rovina lo smalto) ma la scelta è altrettanto semplice: in un paio di litri d’acqua sarà sufficiente versare qualche goccia di detersivo biologico per pavimenti e il gioco è fatto.
A pulire la biancheria ci pensa la natura
Se l’idea di “pulire ecologico” vi sta stuzzicando e volete sperimentare qualcosa di ancor più naturale, provate le “noci del sapone”. Si chiamano così i frutti del noce del sapone (Sapindus mukorossi, l’albero che cresce in India e in Nepal), che contengono saponina, un detergente naturale che, se sciolto a 40 °C, si comporta esattamente come il sapone. È sufficiente mettere 4-6 mezze noci in un retino nel cestello della lavatrice: provare per credere! Inoltre, le noci del sapone sono raccolte da secoli dalle popolazioni locali, sono anallergiche e naturali al 100%, non fanno schiuma e hanno proprietà antibatteriche e ammorbidenti. In alternativa, ecco una ricetta fai-da-te:
Detersivo per lavatrice
5 l acqua • 200 g sapone vegetale in scaglie • 100 g bicarbonato
• 25 gocce olio essenziale profumato
Fate bollire l’acqua e versatevi il sapone mescolando fino a farlo sciogliere. Lasciate raffreddare e poi aggiungete il bicarbonato mescolando bene. Alla fine aggiungete le gocce d’olio essenziale. Si può conservare in flacone per qualche mese.
Cosmesi
Qualche cifra shock
Ogni anno vengono prodotte oltre un migliaio di nuove sostanze di sintesi e oltre un terzo di queste sono state rinvenute in tessuti e secrezioni umane (compreso il latte materno!) di persone che si sono sottoposte ad accertamenti per problemi di salute più o meno importanti. Si tratta di circa 150 sostanze considerate potenzialmente cancerogene. Molte di esse derivano dal petrolio. Il National Institute of Occupational Safety and Health rende noto, inoltre, che oltre 800 ingredienti tra quelli usati nella cosmesi sono tossici. In tutto il mondo ogni anno vengono prodotte circa 400 tonnellate di sostanze chimiche destinate alla cosmesi e alla detergenza della persona. Veniamo in contatto con esse ogni giorno, il nostro naso le inala e la nostra pelle le assorbe.
Eliminiamo pulci e zecche in modo naturale
Quando si ha un animale domestico, una delle battaglie più dure da combattere è quella contro i parassiti (pulci e zecche). La maggior parte degli antiparassitari in commercio contiene sostanze chimiche nocive per la salute nostra e dei nostri amici a quattro zampe. Possibile che non esistano alternative? Ovviamente cambiare si può: in commercio esistono numerosi prodotti naturali, la cui efficacia non è inferiore a quella delle sostanze chimiche. Sono acquistabili sia in alcuni negozi specializzati (è bene chiedere consiglio al commerciante) sia in internet: www.caniegattipetshop.it, www.petnet.it. Chi volesse cimentarsi nella preparazione casalinga di un antiparassitario completamente naturale, sappia che il prodotto più efficace (e principio attivo degli antiparassitari naturali presenti in commercio) è l’olio di Neem, un olio vegetale ottenuto dalla spremitura a freddo dei semi dell’albero Azadirachta indica. Si acquista in erboristeria e si utilizza direttamente sul pelo dell’animale (sono sufficienti 2-3 gocce di olio puro oppure si può creare una lozione diluendolo in un po’ di acqua tiepida e servendosi di uno spruzzino), oppure immergendo una striscia di stoffa nell’olio che, una volta asciutta, può essere legata al collo del nostro amico.
Pesci tropicali: un triste primato
Il primato della triste classifica riguardante il commercio di animali esotici spetta ai pesci tropicali: oltre 16 milioni di esemplari pescati nel loro ambiente naturale e destinati agli acquari occidentali. Una delle specie più commercializzate, il pesce cardinale (Paracheirodon axelrodi), proviene prevalentemente dai fiumi del Sud America. Il viaggio avviene all’interno di sacchetti di plastica pressurizzati dove l’ossigeno è davvero scarso: a destinazione ne arriva meno del 5%. Fortunatamente, si tratta di un caso isolato tra i pesci di acqua dolce, perché il 90% di essi è riprodotto in cattività. Purtroppo non è lo stesso per i pesci marini, pescati prevalentemente nel loro ambiente naturale. Dei pesci pagliaccio (famiglia Amphiprioninae), i più amati dai bambini, la metà muore prima di arrivare a destinazione. Una delle specie più in voga negli ultimi anni è il pesce pipistrello (Platax orbicularis). Per pescarlo, i bracconieri si servono del cianuro: su dieci esemplari che salgono a galla, ne muoiono nove. Tra tutti quelli pescati ancora vivi, solo la metà arriva a destinazione, gli altri muoiono durante il viaggio. Attualmente, in Italia, i pesci ornamentali marini sono allevati e venduti solo dalla cooperativa marchigiana Oce.An, nata con l’obiettivo di preservare l’ambiente marino tropicale dalla pesca indiscriminata di pesci e invertebrati, sviluppando tecniche innovative di allevamento delle specie più commercializzate.
A ogni uovo il suo codice
Dal 2004 le uova di gallina prodotte nell’UE vengono marchiate con un apposito codice che indica, tra l’altro, il tipo e il luogo di allevamento da cui provengono. La tipologia di allevamento viene identificata da numeri compresi tra 0 e 3:
3: in gabbia. Galline allevate in gabbie da 750 cm2 di superficie, nutrite con generico mangime industriale e sottoposte a sistematica somministrazione di antibiotici e zoofarmaci (si veda scheda Non tutte le uova sono uguali);
2: a terra. Galline allevate in grandi capannoni con luce artificiale e una densità non superiore a 7 animali per metro quadro, alimentate e curate come quelle da allevamento in gabbia;
1: all’aperto. Galline allevate a terra, con l’aggiunta di ampi spazi aperti sui quali gli animali possono razzolare, nutrite con mangimi standard e sottoposte a uso di zoofarmaci;
0: biologico. Galline per lo più di razze rustiche provenienti da allevamenti biologici che razzolano a terra e all’aperto con una densità non superiore a 6 animali per metro quadro. Il mangime è composto da alimenti biologici di origine controllata, prevalentemente mais e cereali, spesso prodotti nell’ambito della stessa azienda; gli zoofarmaci sono permessi esclusivamente in casi di emergenza e non più di tre volte nell’intero ciclo di vita.
Il codice stampigliato su ciascun uovo riporta inoltre, nell’ordine: la sigla del paese di provenienza; il codice ISTAT (indicato da 3 numeri) del comune d’appartenenza dell’allevamento; la sigla della provincia dove è situato l’allevamento; il codice dell’allevamento (0, 1, 2, 3). Per il principio della tracciabilità, la confezione deve riportare: il nome, l’indirizzo e il codice del produttore; il numero di uova (a volte anche il peso); giorno di deposizione; il tipo di allevamento(che viene ribadito a chiare lettere): “uova da agricoltura biologica”; “uova da allevamento all’aperto”; “uova da allevamento a terra”; “uova da allevamento in gabbie”.
A pesca di scatolette
Il tonno è il pesce conservato più venduto. La scatoletta di tonno è l’ultima spiaggia in cui rifugiarsi per milioni di italiani che la sera non sanno cosa cucinare… Tonno e insalata, tonno nel sugo per la pasta… La scatoletta di tonno è la soluzione alla mancanza di fantasia. Peccato che il prodotto e l’eccessiva abitudine al suo consumo abbiano un impatto enorme: con un mercato di quasi 20 miliardi di dollari, le scatolette di tonno sono le regine del conserviero ittico e “divorano” ogni anno centinaia di migliaia di tonnellate di tonno pescato con metodi spesso ad alto impatto, come le rete a circuizione o i sistemi FAD (Fish aggregation devices, una sorta di richiami galleggianti che attirano gli animali d’alto mare), micidiali anche per squali, tartarughe, delfini e decine di specie prive di interesse commerciale. Come si evince dalla classifica “Rompiscatole” stilata da Greenpeace (www.greenpeace.it/tonnointrappola/), delle 14 marche che coprono l’80% delle 140.000 tonnellate di tonno in scatola consumato in Italia, soltanto una indica specie, località e metodo di cattura, ma in generale non si può avere la certezza che non vi finiscano tonni a rischio di estinzione, come il tonno obeso (Thunnus obesus), o in preoccupante stato di conservazione, come il tonno pinna gialla (Thunnus albacares) o, ancora, pesci provenienti da pesca illegale. Perché non cambiare usanze e sostituire le scatolette di tonno con quelle di sgombro o il tonno fresco con la gustosa palamita?
Condizionatore: istruzioni per l’uso
Sui consumi dei condizionatori influiscono fortemente molti fattori legati al nostro comportamento. In estate, sia per motivi di salute che di dispendio energetico, sarebbe meglio non creare una differenza superiore ai 6 °C tra la temperatura interna e quella esterna: se ci sono 40 °C fuori non ha senso mantenere in casa una temperatura di 15 °C, anche perché conosciamo bene i malanni che questi sbalzi termici provocano… Non esponete il condizionatore alla luce diretta del sole e non nascondetelo dietro mobili o tende che ostacolino il flusso dell’aria e, soprattutto, utilizzatelo soltanto se indispensabile, nelle ore più calde della giornata.
Come capire quando la vostra acqua di rubinetto è veramente buona
Secondo Legambiente dovete tenere d’occhio vari parametri. Il residuo fisso indica la quantità totale di sali presenti in un litro di acqua, il limite di legge è di 1500 mg/l, un valore al di sotto dei 1000 mg/l è ideale (e nella maggioranza dei casi si aggira attorno ai 500 mg secondo una recente indagine di Altroconsumo, in pratica sono tutte acque oligominerali!). La durezza è un parametro che indica il livello di ioni magnesio e calcio presenti e, se compresa nei limiti di legge (tra i 15 e i 50 °F), non ha effetto sulla salute ma al massimo sul sapore. Il PH è meglio si attesti nei pressi della neutralità, attorno al 7 (limite di legge da 6,5 a 9,5). Gli ioni cloro non devono superare i 250 mg/l: l’ideale sarebbe non superare i 200 mg/l per non avere quel tipico sgradevole sapore di “piscina”. Per i nitrati il limite di legge è di 50 mg/l, un quantitativo ampiamente tollerabile ma, ovviamente, più basso è meglio è (specialmente per i più piccoli sarebbe ideale non superare i 10 mg/l). I nitriti (non devono superare gli 0,50 mg/l ma ovviamente anche in questo caso valori ancora più bassi sono sintomo di purezza. Per gli altri inquinanti (arsenico, cloriti, trielina, cromo, piombo, nichel…), spesso presenti, l’importante è che siano ben al di sotto del limite di legge previsto e non sono tollerabili se non in tracce. Insomma, niente scuse, se la vostra acqua del rubinetto è gradevole e rispetta i limiti di legge non avete più motivo di bere acqua in bottiglia.
Legnami sì e legnami no
Quali sono i legnami da evitare per mobili e parquet? In generale tutti i legni tropicali, certificati o meno. E’ un punto di vista radicale ma è l’unico modo per essere sicuri al 100% di non far entrare in casa essenze provenienti da preziose foreste primarie tropicali. Senza contare che alla CO2, rilasciata nell’atmosfera a causa del taglio della pianta, si aggiunge quella del suo trasporto su gomma, rotaia e nave per migliaia di chilometri. Quindi meglio dire addio alle essenze tropicali, splendide per carit., ma che hanno un costo ambientale elevato, e accogliere quelle europee certificate (meglio se del Nord e Ovest, attenzione a quelle provenienti dall’Est) che quasi certamente non provengono da foreste primarie, dal momento che purtroppo in Europa sono ormai scomparse: è legname ben più sicuro e dall’impatto decisamente inferiore. In ogni caso fate sempre attenzione a che la specie non sia compresa tra quelle a rischio riportate nella scheda qui sotto, perché non è soltanto dai tropici che arriva legname che sarebbe meglio non raccogliere.
ESSENZE SI
Se certificate FSC o PEFC e meglio se non provenienti dall’Est Europa.
Abete, Acero, Betulla, Castagno, Ciliegio, Douglasia, Faggio, Frassino, Larice, Noce, Pino, Robinia comune, Eucalipto
ESSENZE NO
Considerate off limits le essenze tropicali (anche se certificate).
Abete canadese, Acajou bianco, Afrormosia, Aniegré, Ayous, Bangkirai, Cedro rosso canadese, Doussié, Ebano, Eucalipto, Fraké, Framiré, Iroko, Jato bà, Khaya, Kosipo, Kotibé, Meranti rosso, Merbau, Moabi, Mogano, Mogano africanO, Niangon, Okoumé, Paduk, Quercia, Ramino, Sapelli, Sipo, Tanganica, Teak, Wengé
Ecobiancheria per la casa
Che ci si trovi nel bagno di casa, tra le lenzuola o in cucina, non c’è niente di più bello che lasciarsi avvolgere dall’abbraccio di un morbido tessuto… soprattutto se naturale al 100%. Non importa che sia inverno o estate: asciugamani, lenzuola, tovaglie sono accessori immancabili nelle case. Sebbene siano sempre più numerose le aziende che producono biancheria da bagno con tessuti al 100% naturali e biologici (tanto per citarne alcune, Gabel, Cotonificio Zambaiti&Lifegate), non sempre sono facilmente reperibili nei negozi più comuni. Ecco quindi che internet ci viene in aiuto. È sufficiente collegarsi a uno dei seguenti siti per poter acquistare con la certezza di scegliere tessuti per la casa eco-friendly: www.terrylife.it, www.bioecoshop.com, www.etsy.com, www.acquistiverdi.it, www.altramoda.net, www.natfree.it, www.universoecologico.it). Questi sono solo alcuni, ma la rete è ricchissima.
Diamanti da conflitti
Circa il 65% dei diamanti commercializzati nel mondo proviene dall’Africa. Sierra Leone, Costa d’Avorio, Sudafrica, Liberia, Congo e Angola: questi i paesi africani che pi. di qualunque altro sono interessati dallo sfruttamento delle miniere di diamanti. Soltanto l’Italia importa ogni anno diamanti dal Sudafrica per un giro d’affari che supera nettamente i 500 milioni di euro. In tutto il mondo, il giro d’affari che ruota intorno ai diamanti provenienti dall’Africa si aggira sugli 8,4 miliardi di euro. Un traffico che da anni è sinonimo di sangue, perché sfrutta le popolazioni locali, costringendole a lavorare in condizioni disumane nelle miniere, e i cui proventi sono destinati a finanziare il mercato delle armi e della guerra. Un passo avanti è stato fatto con l’introduzione, nel 2002, della certificazione Kimberly Process (sostenuta anche dall’ONU) in base alla quale i diamanti grezzi possono essere esportati e importati solo se accompagnati da un certificato del paese esportatore che ne garantisce la natura “conflict free”, ossia che i profitti della pietra non servano per finanziare guerre e che i lavoratori non abbiano subito alcun tipo di sfruttamento. Nonostante il commercio dei diamanti da conflitti si sia ridotto negli ultimi anni, sono ancora troppi i diamanti venduti illegalmente in tutto il mondo.
Con la forza del sole
Già nel 2011 l’Italia aveva raggiunto gli obiettivi fissati per il 2020 dall’UE nel campo della produzione energetica da fonti rinnovabili: un miracolo energetico indotto, senza dubbio, dagli incentivi previsti dai Conti energia degli ultimi anni, che hanno dopato il mercato con milioni e milioni di euro, dando un impulso “innaturale” alla corsa ai pannelli. Oggi, nel 2013, i Conti energia sembrano ormai un miraggio impossibile, data la crisi. Nonostante questo, il calo impressionante del costo dei pannelli avvenuto negli ultimi anni e la possibilità di detrarre, ad oggi, il 50% del costo dell’impianto facendolo rientrare nel complesso dei lavori di ristrutturazione ed efficientamento energetico (che diventa anche di più se l’operazione implica, per esempio, la ristrutturazione anche di un sottotetto coibentato con l’amianto) rendono i pannelli un affare tutto sommato ancora conveniente.
Giocare pulito
Sembra proprio che il mondo dei giocattoli sia una giungla nella quale è difficile districarsi… Anche in questo caso, le alternative eco ci sono e dovrebbe essere un dovere di tutti ricercarle attivamente: è un modo per liberare le case, e soprattutto i vostri figli, dalla plastica e da sostanze pericolose, e per salvaguardare l’ambiente. In commercio esistono moltissimi giocattoli eco-friendly, realizzati con materie completamente naturali o materiali riciclati e provenienti da fonti rinnovabili. Uno dei produttori più facili da trovare è Città del Sole, con punti vendita presenti un po’ in tutta Italia (per trovare il più vicino a voi e per vedere i loro prodotti andate al link www.cittadelsole.it). Esistono poi moltissimi altri negozi, presenti magari in una sola città ma dai quali è possibile acquistare on line in sicurezza. Tra i più forniti: www.ecogiochiamo.com, www.ecotoys.it (tra l’altro, distributore in Italia della famosissima Green Toys californiana), www.gigoitaly.com, www.commercioalternativo.it, www.iltempodeibalocchi.it.
I GAS (Gruppi d’Acquisto Solidali)
Un buon metodo per avere la certezza di mangiare prodotti sani, di stagione e a km 0 (o quasi) . aderire a un GAS (Gruppo d’Acquisto Solidale), ossia un gruppo di consumatori auto costituito che intrattiene un rapporto diretto con uno o pi. piccoli produttori agricoli che consegnano direttamente a casa, su richiesta, ortaggi, frutta, verdura di stagione e prodotti lavorati. Aderire a un GAS significa garantirsi prodotti biologici (e non soltanto alimentari) a prezzi ragionevoli e di sicura provenienza senza bisogno di percorrere un solo km. Il termine “solidale”, la S dell’acronimo, ricorda che aderire a un GAS significa anche contribuire al mantenimento di un’agricoltura basata su piccole aziende, attente alla tradizione, fortemente legate al territorio e ultimo baluardo contro le grandi coltivazioni monocolturali che appiattiscono la varietà dei prodotti agricoli e dominano il mercato. Solidale anche perché il GAS rappresenta un gruppo di consumatori che si riunisce e si dà una mano per migliorare il proprio stile alimentare e, aspetto non secondario, crea relazioni tra famiglie e individui e favorisce la condivisione di uno stile di vita sostenibile e salutare.

tratto da “Ecocentrica” di Tessa Gelisio – Giunti Editore

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