Supertuscan indica la provenienza geografica e la qualità superiore, come se la Toscana si potesse coniugare soltanto con la superiorità. Il nome fu attribuito paradossalmente a vini da tavola la cui composizione non trovava rispondenza nelle denominazioni di legge. I produttori si sentivano stretti nelle maglie di disciplinari a volte contraddittori se non punitivi verso gli esperimenti innovativi.
Il Chianti che dominava il mercato si poteva comporre anche con uve a bacca bianca come la Malvasia, oltre che con Colorino e Canaiolo, le tradizionali spalle del dominante Sangiovese.

I vitigni a bacca rossa non autoctoni, perché provenienti dalla vicina Francia, erano guardati con sospetto, la loro introduzione avrebbe alterato la purezza del prodotto.
Questo fino agli anni Settanta del secolo scorso, quando alcuni produttori e alcuni enologi di talento, fra cui spiccava quel Giacomo Tachis che ho già ricordato in altro articolo come il maestro degli enologi italiani, cominciarono a sperimentare non temendo la contaminazione del “sacro” Sangiovese con i cosiddetti vitigni internazionali, in particolare il Cabernet Sauvignon e il Merlot, con l’aggiunta a volte di Petit Verdot e Syrah.
Certe zone di Toscana erano vocate all’allevamento di questi vitigni, che in prossimità del mare (si veda Bolgheri e l’Alta Maremma) si esprimevano in maniera originale rispetto al capostipite francese, si potevano vinificare senza peccare di eresia.
Quale il capostipite della generazione dei Supertuscan? Alcuni indicano il Vigorello di San Felice, poi denominato Tignanello dalla vigna in Tavarnelle Val di Pesa, nell’area destinata al Chianti classico.

Altri indicano il Sassicaia di Bolgheri, l’invenzione di Tachis. E poi Solaia, Ornellaia, Luce, Siepi, Masseto, nel liberare la fantasia per dare nomi accattivanti a vini che si vogliono di fascino. Il fascino è un di più immateriale del prodotto che lo rende altamente desiderabile.
Il Sangiovese non è soffocato né soppiantato, è migliorato dall’apporto dei vitigni internazionali. Alcuni produttori preferiscono vinificarlo in purezza, discostandosi anche loro dal disciplinare del Chianti che lo vorrebbe migliorato solo con vitigni autoctoni a bacca rossa.
Io adoro Pergole Torte, prodotto a Montevertine, nel cuore del Chianti Classico, un Sangiovese in purezza così originale da rinunciare alla facile dizione. Pergole Torte si impone già dall’etichetta che reca un volto stilizzato da un artista e che cambia secondo le stagioni.

Non da meno è L’apparita Castello di Ama, un Merlot in purezza nel regno del Chianti Classico. Piace l’immaginazione al potere nelle cantine che “sforna” vini superiori e a volte sublimi nel rispetto che i produttori e i consumatori hanno per la terra d’origine.
La moda dei vini super attecchisce in Toscana, il nome evoca negli italiani e soprattutto negli stranieri, che dei Supertuscan sono i massimi acquirenti, immagini di cura del territorio, amore per l’agricoltura che tutela e abbellisce il paesaggio, omaggio alle tradizioni. Sono la moderna espressione dell’arte rinascimentale.
L’abbinamento dei Supertuscan, vini dalla voce autorevole e suadente, è quasi obbligato: i piatti di carne chianina (tagliata o bistecca alla fiorentina), i fagioli all’uccelletto, la ribollita, i pici all’aglione, il pecorino stagionato, i salumi di cinta senese.
Se quest’estate fare un giro nelle terre del Granducato scoprirete gli amanti del vino che scendono dal Nord Europa e volano da oltre Oceano intenti a sezionare la carne al sangue accanto al calice di rosso.

I buongustai sanno scegliere: il Supertuscan del momento è quello che ci vuole per esaltare la pietanza. E se vi va lo street food alla toscana, con le gocce rosse irrorate il pane sciocco con la finocchiona, non sarete delusi.

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