Il cappero (Capparis spinosa) è il bocciolo a forma di cuore di un bellissimo arbusto perenne. Spontaneamente cresce sui muri, nei terreni pietrosi, e sulle rovine dei paesi caldi del Mediterraneo.
I suoi fiori sono bianchi e rosa, stupendi, simili alle rose selvatiche o alle orchidee, sono di brevissima durata, infatti si schiudono al mattino e all’ora di pranzo sono già appassiti.
Sin dai tempi remoti i capperi erano conosciuti ed usati sia in Terrasanta che in tutte le regioni del Mediterraneo. Le qualità più pregiate provengono dalla Provenza e in Francia a seconda delle dimensioni vengono classificati e venduti. La raccolta dei capperi richiede un notevole lavoro: i boccioli, non appena raggiungono la misura desiderata, vanno colti ogni mattina.
I capperi più grossi possono esser raccolti meccanicamente e venduti sotto sale o sotto aceto nei mercati locali. In genere quelli grossi sono gustosi ma essendo di qualità inferiore possono diventare presto rancidi. Il gusto dei capperi è acido e aggiunge un tocco frizzante e appetitoso a un’ampia gamma di piatti e salse fredde, come la tartare, la remoulade, la ravigote, la tapénade provenzale e la salsa verde italiana.
Data la stagione estiva si suggerisce la ricetta di una frittata poverissima e molto antica, tutta partenopea: la frittata di scammaro. Il termine scammaro deriverebbe dal fatto che in tempo di quaresima i monaci malati avevano il permesso di mangiare carne, che veniva consumata nella loro cella o “cammera” in dialetto, per non turbare gli altri confratelli Quindi il termine “cammerare” fu sinonimo di mangiar di grasso, mentre “scammerare” sinonimo di mangiar magro.
Il Duca di Buonvicino, Ippolito Cavalcanti, inventò per i monaci questa frittata di magro, senza proteine animali, visto che per la Chiesa quella dei pesci non era considerata carne. Questa è la sua ricetta ottocentesca:
“Scaura tre rotole de vermicielle, ma teniente, teniente, li scule e li buote dinto a no tiano co tre mesurielle d’uoglio zoffritto, co miezo quarto d’alice salate, e pepe, quanno l’aje mbrogliate e asciuttate, ne miette na mità dinto a la tiella e nge miette na mbottonatura d’aulive senza l’osso, de chiapparielle, d’alice salate a meza a meza, passe e pignuole, nge miette l’auta mmità de li vermicielle e nge farraje fa la scorza sott’e ncoppa, facennola friere co la nzogna o co l’uoglio.”
Ecco la ricetta di questo piatto invitante nella versione contemporanea:
Ingredienti per 4 persone
vermicelli 400 g
olive di Gaeta 150 g
capperi 70 g
uvetta 70 g
pinoli 70 g
alici sotto sale (o sott’olio ) quattro
olio EVO qb
aglio uno spicchio
sale pepe
prezzemolo qb
Procedimento:
Portate a bollore l’acqua leggermente salata per i vermicelli e scolateli molto al dente. Poi in una padella antiaderente preparate il sughetto che condirà la pasta, facendo soffriggere l’aglio in sei cucchiai d’olio, con le olive, i capperi, i pinoli e le acciughe. Una volta ottenuto il sugo, dovrete condire la pasta aggiungendo sale, pepe e prezzemolo tritato.
Nella stessa padella cuocete la frittata di pasta a fuoco moderato, creando una bella crosticina dorata sui lati e contemporaneamente mantenendola morbida all’interno. Quando si sarà raffreddata, trasferitela su un piatto da portata e suddividetela in fette o porzioni per i vostri ospiti, che di sicuro gradiranno questo piatto così semplice ma tanto gustoso.
Annamaria Parlato