Vi è un detto che recita: “Le persone che si conoscono sono come i meloni, bisogna assaggiarne cinquanta prima di trovare quella buona”.
Questo perché il melone non è sempre leale, la scorza spesso inganna, nascondendo all’interno una polpa a volte saponosa, insipida o che sa di muffa. Per evitare la delusione o peggio un’indigestione, si può per esempio scrutare il picciolo che deve essere tenero e non molle o annusarne la fragranza, che deve essere fresca e non sapere di etere.
Spontanee e comuni dalla Numidia alla Mauritania, le angurie in graffiti ornarono le tombe dei primi Faraoni, mentre i meloni, ancora di piccole dimensioni, furono di poco successivi. Approdarono prima in Grecia e poi in Campania nel I d.C., creando un problema di gusto sia per Discoride, medico di origini greche, sia per Plinio il Vecchio, abituati al sapore dell’anguria.
Introdotto sul mercato come una novità, i prezzi lievitarono e il melone, considerato un legume verde, diventò boccone da imperatore, come insalata, condito con aceto, pepe e “garum”, la salsa di pesce, tanto che Tiberio non riuscì a farne a meno.
Nel corso dei secoli, gli agricoltori mediterranei, perfezionarono la coltivazione del melone, non più chiamato legume, rendendolo dolce, grosso e gustoso.
L’anguria invece nacque in Africa tropicale, ma il mondo intero le diede subito asilo. Infatti il consumo di anguria si è diffuso poi in Italia, in particolar modo in Campania, Puglia e Sicilia che sono le regioni di maggior produzione.
La corteccia si presenta di un verde mimetico, setosa, anche se quando viene aperta presenta una polpa di color rosso rubino, con una filigrana nera di semi. L’anguria è chiamata anche pasteca o melone d’acqua. La mellonessa ovoidale e imponente, presenta polpa rosea ed è diffusissima in alcune zone della Campania, come l’Agro Nocerino-Sarnese e Villa Literno. Il melone, nelle sue tantissime varietà ha dimensioni molto più contenute. Lo si trova con polpa bianca-giallina e buccia giallo-verde, o con polpa arancione, che corrisponde al cantalupo, dall’omonimo paese vicino Roma, dove nel Rinascimento i monaci lo coltivavano per la mensa del Pontefice.
In realtà tutte queste tipologie si gustano al meglio se fredde, scavate dei semi, si trasformano in coppe prelibate di se stessi, accogliendo frutta, creme calde o ghiacciate, gelati, liquori, ma anche accostamenti salati, tra cui prosciutto crudo, parmigiano, con una spruzzatina di Porto o Malvasia. Insomma sia nella versione dolce che salata i meloni e le angurie sono il simbolo dell’estate, della freschezza e della gioia di stare assieme.
Annamaria Parlato