La Campania è rinomata per la produzione di numerosi ortaggi, tra cui i carciofi, che si differenziano in base alla loro provenienza e variano da provincia in provincia. Scopriamo quali sono quelli che rappresentano la regione Campania e che tipo di proprietà e caratteristiche presentano.

CARCIOFO CAPUANELLA

Il nome “capuanella” è un vezzeggiativo e deriva appunto dalla città di Capua, in provincia di Caserta, zona rinomata per la produzione di quest’ortaggio. Il carciofo capuanella in genere si presenta di colore verde scuro, matura tra fine marzo ed inizio aprile ed è ricco di proprietà organolettiche. Appartenente alla famiglia dei carciofi romaneschi, ha foglie molto fitte e raccolte. E’ rinomato per esser tenero e per esser degustato arrostito, in occasione delle feste.

CARCIOFO DI CASTELLAMMARE

Il carciofo di Castellammare, chiamato anche “violetto”, si presenta come privo di spine, tenerissimo, con le foglie esterne che vanno a degradare dal rosa al viola, con grandi infiorescenze rotonde. Ha una maturazione molto precoce, infatti si raccoglie nel periodo compreso tra febbraio e maggio, anche se a marzo iniziano a spuntare le cosiddette “mammarelle”, ossia i capolini centrali. In epoca borbonica, era soprannominato “primaticcio”, come si evince da svariati manuali di agricoltura.

CARCIOFO PIGNATELLA

Il carciofo pignatella, assume questo buffa denominazione a causa della particolare tecnica di coltivazione. E’ tipico dell’Agro Nocerino-Sarnese e dell’area vesuviana. La “pignatella” è un recipiente di terracotta, simile ad una tazza senza il manico, che si utilizza come copri-capolino, dal momento della sua nascita sino alla raccolta, per proteggerlo dai violenti raggi del sole e dagli agenti atmosferici.

Questa tecnica è descritta perfino da Plinio il Vecchio nei suoi scritti ed era in voga nell’antica Pompei. La coltivazione di questo carciofo è spesso a conduzione familiare, ricopre un arco temporale che va da marzo sino alla prima decade di giugno. In periodo pasquale questo carciofo assume delle fantastiche sfumature violaceo-rossastre e le brattee diventano particolarmente tenere. Con i piccolini capolini si producono meravigliosi sott’oli, mentre tutto il carciofo si presta per la preparazione di parmigiane, di carpacci o per essere arrostito.

CARCIOFO DI PROCIDA

Il carciofo di Procida, la più piccola delle isole del Golfo di Napoli, è del tipo romanesco, con capolini primari globosi e grossi di colore verde chiaro e con capolini secondari di color viola e di dimensioni inferiori. La pianta è robusta ed è capace di produrre capolini anche del terzo, quarto e quinto ordine.

La tradizione vuole che i capolini del secondo ordine, secondo una ricetta tradizionale, vengano utilizzati per la preparazione di vasetti di sott’oli. I capolini vengono sbollentati in acqua, aceto di vino bianco e sale, e poi conditi con olio extravergine, aglio, origano e peperoncino.

CARCIOFO DI PAESTUM

Il Carciofo di Paestum o “tondo di Paestum”, ha forma subsferica, aroma delicato e straordinarie proprietà nutrizionali. I capolini sono molto compatti, le spine sono assenti e la precocità della maturazione, lo rendono unico, tanto da caratterizzare, con le enormi distese, il paesaggio della Piana del Sele.

La maturazione precoce poi lo rende competitivo nei mercati ortofrutticoli, in quanto può esser venduto per primo, rispetto alle varietà romanesche. Ha proprietà benefiche e disintossicanti, dovute al suo contenuto in sali e vitamine. E’ tra gli ingredienti più usati nella cucina cilentana, lo si trova in delicate creme, ideale condimento per la pasta fatta a mano, sulle pizze e nei rustici.

CARCIOFO BIANCO DEL TANAGRO

Nella Valle del Tanagro, in provincia di Salerno, il carciofo in dialetto si chiama “carcioffola”. La sua produzione va da maggio a giugno, sino alla raccolta degli esemplari più piccoli, che vengono impiegati nella preparazione di conserve. Non ha spine, è rotondo e ha un colore particolarissimo, tendente all’argento, le infiorescenze sono forate al centro.

La lavorazione è manuale e a conduzione familiare, in terreni di piccole dimensioni. Anticamente le foglie di questo carciofo erano considerate merce di scambio, poiché si capì che potevano essere un ottimo integratore nella dieta delle mucche da latte. Quindi gli orticoltori locali, in cambio di letame, usato come concime, le cedevano agli allevatori.

CARCIOFO DI PIETRELCINA

Intorno al 1840 nella cittadina di Pietrelcina, in provincia di Benevento, un prefetto originario di Bari, introdusse la coltivazione del carciofo. Ancora oggi si richiede un lavoro umano notevole, per la sua produzione, che in genere avviene in piccoli appezzamenti di terra.

In estate si tagliano gli steli poi in autunno c’è la cosiddetta “scarducciatura”, ossia l’eliminazione dei germogli superflui, che viene ripetuta anche in primavera, quando i cardi appena estirpati vengono adagiati sulle infiorescenze immature, per preservarle dal calore dei raggi solari. A maggio ogni anno nel paese, si celebra una tradizionale sagra.

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