
Il Vallo di Diano è una vallata che si estende per circa 30 km tra il massiccio del Cervati e la Catena della Maddalena. Le mete turistiche più importanti sono: la Certosa di Padula, le Grotte di Pertosa ed il Centro storico di Teggiano, ricco di chiese e monumenti. Altri luoghi di notevole interesse da visitare sono la valle delle orchidee di Sassano, la città di Sala Consilina, Sant’Arsenio con la sua piazza e il monte Carmelo e il convento di Sant’Antonio a Polla.
La cucina di questa fetta di Campania, è semplice, ha antiche origini contadine, ma i suoi sapori sono forti e decisi, rispecchiano il carattere degli abitanti.
Nelle famiglie di pastori e contadini si preparava abitualmente il piatto caldo di sera al ritorno dalla campagna; piatti specifici erano destinati ai lavori agricoli e pastorali, quando si teneva personale a giornata, mentre le ricorrenze religiose venivano generalmente onorate con portate ritualizzate dalla tradizione.
Le tradizioni gastronomiche di questa vallata assomigliano molto a quelle delle vicina Lucania. Sulla tavola delle famiglie del Vallo di Diano non mancava mai la pasta fatta in casa, i fusilli e i cavatelli solitamente conditi con sugo di costolette di maiale, le lagane con i legumi soprattutto fagioli e ceci.
Come secondo piatto spesso la carne di maiale veniva proposta al sugo o con i peperoni all’aceto, il baccalà in tortiera con i broccoli e come carni bianche il pollo e il coniglio alla cacciatora, mentre il capretto e l’agnello venivano cucinati al forno a legna con patate.
Il cinghiale era ed è uno degli animali più diffusi nelle zone montuose del Vallo di Diano, dalle cui carni si ricavava un ottimo sugo per condire la pasta a mano. Il condimento in genere era composto da olio extra vergine, in sostituzione dello strutto o del lardo, e dalla polvere di “C’rasedd” (tipici peperoni lunghi, fatti essiccare), simile alla paprika.
In tavola come contorno o anche come secondo, si usavano gli ortaggi, fatti a “ciambotta” (melanzane e peperoni sminuzzati fritti con olio extra vergine conditi con pomodori e basilico) o conservati sott’olio per la stagione fredda.
Tipici sono i carciofi ripieni con mollica di pane raffermo, uova, formaggio, prezzemolo. In inverno vi era un largo uso di broccoli scupp’tiat (saltati in padella a crudo), di cicoria con i fagioli oppure di M’nestra cu u Bullit (bollito di carne di maiale, vitello, cotiche e “noglia”, una salsiccia molto grassa).
A fine pasto c’era l’obbligo a tavola, soprattutto in presenza di ospiti, di consumare del pecorino stagionato, della salsiccia secca e soppressate. Infine come frutta si usavano in particolare le mele annurche.
A chiudere il pasto nei momenti più particolari vi erano i dolci come: “U Ruosp” (dalla forma simile ad un rospo), una frittella di pasta molto cresciuta con acciuga e spolverato di zucchero, usato a Natale; i Can’striedd (chiacchiere fatte con farina e uova), le pizze ripiene con ricotta, crema ed il sanguinaccio.
La “tasca o pizza chiena” è un’altra specialità del Vallo di Diano. E’ una prelibatezza che si prepara a Pasqua, composta da un sfoglia di pasta frolla e nell’interno riempita da soppressata, toma, pecorino grattugiato, prezzemolo, uova, sale e zucchero, che crea il contrasto agrodolce.
Mancando una documentazione scritta, non è semplice ricostruire storicamente l’alimentazione del Vallo di Diano; è tuttavia possibile effettuare una ricostruzione orale, tramandata soprattutto dalle persone anziane, che durante il Secondo Conflitto Mondiale, quando si oscillava tra fame e abbondanza, dovettero improvvisare in cucina con quello che la natura consentiva di avere a portata di mano.
C’è una significativa strofa popolare, nel dialetto del Vallo di Diano che recita: “Carniluvaru chjnu ri nnogli, oji maccarune e crai fogli”, che tradotto significa “Carnevale pieno di salsicce, oggi maccheroni e domani foglie”.
Annamaria Parlato