E’ una “moda” alimentare che rimbalza sul web e sui media, che parte dalla presunta capacità acidificante del latte e dei suoi derivati, e finisce per promuovere alimenti o integratori alcalini, proposti come necessari per combattere l’acidità che caratterizza l’alimentazione moderna. Eppure questa credenza non è stata ancora confermata da evidenze scientifiche.

Il punto di partenza di questa credenza è che un’alimentazione troppo ricca di proteine, soprattutto di origine animale, comporterebbe un’acidosi metabolica e perciò provocherebbe un “furto” di calcio dalle ossa, impoverendole e rendendole quindi più fragili. A sostegno di queste affermazioni vengono portate due prove indirette: l’aumento della concentrazione di calcio nelle urine provocato dalle diete iperproteiche, e causato da un eccesso di amminoacidi solforati, e il fatto che i paesi con i maggiori consumi di latticini sarebbero quelli con il più alto tasso di osteoporosi.

“Pur partendo da un possibile meccanismo biochimico non ci sono evidenze scientifiche che supportino queste credenze – commenta Andrea Ghiselli, dirigente di ricerca dell’INRAN (Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione) – In realtà le proteine si comportano tutte allo stesso modo sull’acidificazione e non c’è documento di consenso in cui vengano inserite tra i fattori di rischio dell’osteoporosi. Quanto alla correlazione tra consumi di prodotti lattiero-caseari e osteoporosi la letteratura scientifica è abbastanza concorde nel negare quest’evidenza“.

Sull’ultimo numero de L’Attendibile il dottor Ghiselli analizza e confuta le 3 più comuni “bufale” portate a sostegno della capacità acidificante del latte:

• Il latte apporta elevate quantità di amminoacidi solforati che acidificherebbero il sangue. FALSO
Gli amminoacidi solforati sono presenti nella maggior parte degli alimenti proteici, sia animali che vegetali. E quindi anche nel latte. Ma ad apportarne la quantità maggiore nella nostra dieta sono altri alimenti, soprattutto vegetali. Considerando infatti la quantità di amminoacidi solforati presenti in una giornata alimentare modellata sulle “Linee Guida per una sana alimentazione italiana”, anche scegliendo solamente alimenti vegetali, la quota giornaliera di amminoacidi solforati proveniente da 1 porzione di pasta o riso, dalle 4 porzioni di pane, dalle 2 porzioni di vegetali, da 1 porzione di legumi e da 1 di frutta secca in guscio, supera abbondantemente la quota apportata da una tazza di latte.

• Il latte provocherebbe perdite di calcio tramite le urine. FALSO
Quest’affermazione si lega a un metodo che classifica gli alimenti in base alla loro capacità di aumentare il carico renale, misurando la concentrazione urinaria di cloro, solfato, fosfato, calcio e magnesio. Da quest’analisi il latte non risulta particolarmente acidificante a differenza di molti altri alimenti (come piselli, spaghetti o nocciole). Inoltre le evidenze scientifiche non supportano questo metodo di classificazione, perché dimostrano che il fosfato e il solfato non sono dannosi per l’osso in quanto il calcio urinario non è correlato al contenuto di calcio dell’osso e il fosfato non ha alcun impatto negativo sul metabolismo dell’osso.
Che la maggiore presenza di calcio nell’urina non sia dovuta a perdite di calcio dall’osso si spiega con la capacità delle proteine (e soprattutto di quelle di derivazione animale) di migliorare l’assorbimento intestinale del calcio. E’ questo a provocare l’aumento della calciuria, come conferma anche la bassa quota urinaria di calcio di provenienza ossea.

• Il latte è responsabile degli svantaggi nutrizionali delle diete iperproteiche. FALSO
Consumando le due porzioni quotidiane di latte raccomandate dalle “Linee Guida per una sana alimentazione italiana” si arriva a coprire al massimo il 10% del fabbisogno proteico di un adulto.

L’ultimo numero de L’Attendibile arriva così alla conclusione che, al contrario di quanto affermano queste mode “alternative”, non solo il latte e i prodotti lattiero-caseari non sono nocivi per l’osso ma anzi aiutano a raggiungere il picco di massa ossea che costituisce la riserva di calcio dell’organismo.

Inoltre, rispetto a quello contenuto in altri alimenti, acque o supplementi, il calcio presente nei prodotti lattiero-caseari ha un privilegio speciale: può essere assorbito anche senza l’intervento della vitamina D, perché il lattosio ne aumenta l’assorbimento passivo. Un plus ancora più importante in un paese, come l’Italia, dove c’è una diffusa carenza di vitamina D. Tutte queste caratteristiche hanno indotto alcuni studiosi a scrivere che il latte apporta calcio con “assorbimento protetto”, “assorbimento prolungato” e “deposizione ossea aumentata”.

“Il latte e i prodotti lattiero-caseari forniscono preziosi nutrienti, specialmente calcio, potassio e magnesio, estremamente importanti per la nutrizione e molto critici per i livelli abitualmente assunti dalla popolazione – sottolinea Ghiselli – Inoltre sono una fonte a basso costo energetico (il latte fornisce 2,6 mg di calcio per ogni Kcaloria contro gli 0,39 mg/Kcal delle mandorle e gli 0,43 mg/Kcal dei ceci) e a basso prezzo“.

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