Torni dall’India e immancabilmente ti chiedono: “ma che hai mangiato?” E che avrò mangiato…cibo indiano, naturalmente, altrimenti che senso avrebbe visitare un Paese diverso dal nostro?
Bene, allora iniziamo col dire che “cucina indiana” è un concetto troppo generico, essendovi sostanziali differenze tra le regioni settentrionali, occidentali, orientali e meridionali, ma una cosa le accomuna tutte: l’abbondante uso delle spezie, che può rappresentare un problema per chi non gradisce o non riesce a mangiare i cibi piccanti.
Nelle regione costiere si fa largo uso di pesce, ma il nostro viaggio si è svolto nel Rajasthan e dunque i nostri piatti erano tipicamente delle regioni interne.
Iniziamo col dire che se si mangia in un ristorante locale di medio livello un pranzo completo costerà circa 3 euro, circa il doppio se si sceglie un ristorante di livello più alto. Se di contro ci si lascia andare all’esperienza dello street food, disponibile letteralmente a ogni angolo di strada, l’impegno economico comporta davvero pochi centesimi.
Chiedere il menu in inglese non sempre è di grande aiuto, perché leggere Dal Tadka, Jeera Aalu, Aalu Gohbi Adrak o Malai Kofta lascia avvolti nel mistero più fitto.
Col passare dei giorni si diventa più smaliziati e si imparano alcune cose, per esempio ordinare in quantità il tipo pane locale, il Naan e il Chapatis, più o meno della consistenza di una piadina, che se non altro serve a spegnere le fiamme che si hanno in bocca quando il cibo servito è davvero troppo speziato.
Molti sono i piatti a base di riso, in cui in qualche caso è presente anche carne (pollo o montone), oppure solo ed esclusivamente verdure come nella cucina vegana che qui è estremamente diffusa.
Gustose le zuppe a base di gnocchetti di ceci (Govind Gutta) o di lenticchie, che spesso si accompagnano bene ai piatti di riso.

Come assaggiatrice d’eccezione (o cavia, a seconda delle interpretazioni più maliziose) abbiamo avuto tra di noi Enrica De Rubeis, chef della Locanda del Poeta di Collalto Sabino (www.lalocandadelpoeta.com) il cui naso e palato ci hanno spesso guidato nella scelta di risi contenenti limone essiccato, arachidi, melograno, deliziose zuppette di legumi e pomodoro amalgamati con yoghurt.

Le sensazioni della De Rubeis sono state in genere molto positive tranne per il fatto che, effettivamente, venendo usate per quasi tutti i cibi più o meno le stesse spezie, i sapori alla fine tendono ad assomigliarsi un po’.
Avendo festeggiato anche due compleanni abbiamo comprato dei dolci in varie pasticcerie, di sapore ottimo e molto simili a quelli della pasticceria italiana. A Bikaner, dove c’è una grande presenza di cammelli, vengono prodotti dolci e gelati con latte di cammella.
Noi abbiamo preferito, spesso, usare come “dessert” un’ottima spremuta di canna da zucchero che si trova per strada praticamente ovunque e fatta sul momento.

Per quanto riguarda birra e vino, abbiamo bevuto la tipica Kingfischer, la più diffusa birra industriale del Paese, senza infamia e senza lode, mentre del vino non abbiamo avuto esperienza diretta.
Interessante però è il fatto che in India la produzione vinicola sia fortemente in crescita, anche se non rientra nelle comuni abitudini alimentari degli indiani, soprattutto per motivi economici, visto che una bottiglia costa l’equivalente di circa 20 euro, un’enormità per chi è abituato a maneggiare sole rupie.
Una delle nostre guide mi ha confidato che quando ha qualcosa da festeggiare compra una bottiglia con gli amici e per far durare di più l’investimento…il vino viene rigorosamente allungato con dell’acqua!