Festum Omnium Sanctorum: la festa di Ognissanti è una ricorrenza voluta dalla chiesa cattolica. La segue, il 2 novembre la Commemorazione dei Defunti, ed è una festa di precetto che prevedeva una veglia e un’ottava nel calendario della forma straordinaria del rito romano.
Nella tradizione popolare è proprio quest’ultima ad avere un significato quasi mistico.
Inutile precisare che sacro e profano si intersecano nelle usanze che, ancora oggi, si praticano in alcune regioni d’Italia.
E’ credenza che il 2 novembre, come ricorda quella straordinaria pagina di poesia partenopea che è “’A livella” di Antonio De Curtis, i morti vengano a farci visita sulla terra. Ecco che il rituale non è solo di commemorazione ma quasi di conforto per le anime dei cari non più in vita. In qualche modo si compiono gesti e riti, mirati ad accogliere al meglio chi verrebbe a trovarci e a rendere meno faticoso il viaggio di ritorno nell’aldilà.
Sono riti di “ristoro”. La tradizione e l’usanza popolare si lega spesso, infatti, anche alla gastronomia o comunque al cibo e alla tavola.
In alcune zone della Lombardia, la notte tra l’1 e il 2 novembre si è soliti ancora mettere in cucina un vaso di acqua fresca perché i morti possano dissetarsi.
In Friuli si lascia un lume acceso, un secchio d’acqua e un po’ di pane. Nel Veneto, invece, per scongiurare la tristezza, nel giorno dei morti gli amanti offrono alle promesse spose un sacchetto con dentro fave in pasta frolla colorata, i cosiddetti “Ossi da Morti”.
Stessa cosa avviene anche nel salernitano, in particolare nell’Agro nocerino- sarnese, dove il promesso sposo regala torrone e ‘a ndrita, un filo di cotone nel quale si infilano le gustose nocciole del posto. Alcuni chiamano questo rituale “’a ‘mpigna”: una sorta di pegno, appunto, d’amore imperituro.
In Trentino le campane suonano per molte ore a chiamare le anime che si dice si radunino intorno alle case a spiare alle finestre. Per questo, anche qui, la tavola si lascia apparecchiata e il focolare resta acceso durante la notte. Anche in Piemonte e in Val D’Aosta le famiglie lasciano la tavola imbandita e si recano a far visita al cimitero.
Nelle campagne cremonesi ci si alza presto la mattina e si rassettano subito i letti affinché le anime dei cari possano trovarvi riposo. Si va poi per le case a raccogliere pane e farina con cui si confezionano i tipici dolci detti “ossa dei morti”.
In Liguria, per esempio, il giorno dei morti si preparino i “bacilli” (fave secche) e i “balletti” (castagne bollite). In Umbria si producono tipici dolcetti devozionali a forma di fave, detti “Stinchetti dei Morti”, che si consumano da antichissimo tempo nella ricorrenza dei defunti quasi a voler mitigare il sentimento di tristezza e sostituire le carezze dei cari che non ci sono più.
In molte regioni, come in Abruzzo, oltre all’usanza di lasciare il tavolo da pranzo apparecchiato, si lasciano dei lumini accesi alla finestra, tanti quante sono le anime care, e i bimbi si mandano a dormire con un cartoccio di fave dolci e confetti come simbolo di legame tra le generazioni passate e quelle presenti.
Apparentemente lugubre, ma assai singolare la tradizione romana, praticata fino a qualche secolo fa, secondo la quale il 2 novembre era abitudine e premura consumare il pranzo accanto alla tomba di un caro, quasi a tenergli simbolicamente compagnia.
E’ quasi come un halloween nostrano, poi, quello che si mette in atto in Sicilia, dove la festa è “dedicata” ai bambini con la preparazione dei tradizionali “pupi di zuccaro”, e in Sardegna dove al “dolcetto scherzetto” si sostituisce la questua, casa per casa, di pane fatto in casa, fichi secchi e altri dolciumi.
Maria Vita Della Monica