La decisione dell’Ucraina di limitare le esportazioni di grano ed orzo ad un massimo di 3,5 milioni di tonnellate fino alla fine dell’anno ha fatto tornare a salire i prezzi del grano e delle altre materie prime. E’ quanto sta accadendo dopo l’annuncio del Ministro dell’Agricoltura Ucraino Mykola Prysyazhnyuk del limite alle esportazioni che entrerà in vigore dal primo settembre alla fine dell’anno.

L’Ucraina oltre ad essere il sesto esportatore mondiale di grano, con circa 21 milioni di tonnellate nelle scorso anno, è soprattutto il principale esportatore di orzo e la preoccupazione sull’andamento dei prezzi al consumo si estende dalla pane e pasta alla birra.

L’ex repubblica sovietica ha subito gli effetti del caldo e della siccità che ha colpito anche la confinante Russia che è il terzo esportatore mondiale di grano ed ha esteso il bando alle esportazioni in aggiunta al grano e alla farina anche al riso, all’orzo, avena e mais, per garantirsi adeguate riserve interne, dal 15 di agosto alla fine dell’anno.

Una decisione giustificata dalla necessità di garantire il fabbisogno interno con il crollo del 30 per cento della produzione che in Russia non dovrebbe superare le 60 milioni di tonnellate (era 90 milioni lo scorso anno).

Dopo il crollo dell’impero sovietico le imprese agricole pubbliche sono state privatizzate con un aumento della produttività che ha fatto del mercato del grano sovietico un punto di riferimento a livello internazionale anche per gli elevati volumi di esportazione che sono stati pari a 21,4 milioni di tonnellate nel 2009, pari a oltre cinque volte la produzione italiana di grano tenero.

Le nuove prospettive di mercato, con l’annuncio del Kazakhstan di essere riuscito a salvare dalla siccità circa l’80 per cento della produzione di grano per un totale di oltre 15 milioni di tonnellate, hanno contributo a far salire i prezzi che per il grano sono sopra i 7 dollari a bushel (0,2 euro al chilo), circa il 50 per cento superiori a quelli di due mesi fa al Chicago Board of Trade, dove il record risale al  marzo del 2008 quando è stato raggiunto il valore massimo del grano a 13 dollari per bushel (27,2 chili).

L’Italia è fortemente dipendente dall’estero e importa circa 4 milioni di tonnellate di frumento tenero che coprono circa la metà del fabbisogno essenzialmente per la produzione di pane e biscotti mentre 2 milioni di tonnellate di grano duro arrivano in un anno in Italia per coprire oltre il 30 per cento del fabbisogno per la pasta.

In altre parole è fatto con grano importato dall’estero un pacco di pasta su tre e circa la metà del pane in vendita in Italia. Si tratta del risultato delle scelte poco lungimiranti fatte nel tempo dall’industria italiana che ha preferito fare acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da “spacciare” come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato.

Per contrastarle queste logiche è nata la più grande società di europea di trading dei cereali di proprietà degli agricoltori, varata a luglio, che – annuncia la Coldiretti – ha il compito di gestire oltre 20 milioni di quintali di prodotto tra grano duro destinato alla produzione di pasta, grano tenero per il pane, girasole e soia, esclusivamente di origine italiana e garantiti non ogm.

La società denominata “Filiera Agricola Italiana” è partecipata da 18 Consorzi Agrari, 4 cooperative, 2 organizzazioni dei produttori, una società di servizi di Legacoop e Consorzi Agrari d’Italia e ha il compito di gestire la contrattualistica nella coltivazione e nella commercializzazione dei seminativi prodotti in tutto il paese.

Rispondi

Please enter your comment!
Please enter your name here