Un testo che illustra (nel vero senso della parola), con ricchezza straordinaria di storia, storie e aneddoti, 50 ricette di cucina povera. Non un manuale di cheap cooking, naif, o shabby chic: cucina povera davvero, ma ricchissima di saperi e sapori. Antidoto alla crisi.

50 ricette provate e gustate, originali, povere davvero perché recuperate dai ‘manuali di difesa alimentare’, con suggerimenti, commenti e consigli di sapori e saperi. Per recuperare una memoria d’Italia che è passata nei piatti, nelle scodelle e nelle pignatte di ferro di ogni famiglia.

Perché i manuali di “difesa alimentare” tornano d’attualità, e lo testimoniano gli orti (anche abusivi) nei parchi, le massaie e i pensionati che seminano verdure invece di fiori sui terrazzi, i condomini che dietro le aiuole d’ingresso coltivano rape, cavoli e patate, i produttori di vasi e concimi si sbizzarriscono con gli orti domestici. È una moda? È un ritorno “ai bei tempi andati”?

E soprattutto: si può fare buona cucina in tempi difficili? Si può? Certo!

Sempre più casalinghe (a Milano oltre il 30%!) coltivano mini-orti su balconi e terrazzi. L’orto pensile è un’idea che nasce dalla scoperta del perverso rapporto euro-lira: per reazione le signore hanno sradicato gerani e petunie e piantato o seminato zucchine, radicchio, rucola e altre verdure da vaso. E che dire degli orti-in-città di molti pensionati nei giardini pubblici, nei parchi, nei cortili condominiali? Ma che succede?

Ora che siamo tutti sazi, il cibo non rappresenta quasi più un problema, almeno per molti di noi. Anzi, è materia editoriale e di costume: politici, intellettuali, veline e sportivi occupano i fornelli, mentre i grandi cuochi fanno il giro del Belpaese a fare del circo culinario.

Magari condendo ricchi piatti con la retorica dei bei tempi andati, della cucina sana e genuina, e del “si mangiava meglio quando si stava peggio”… ma di cosa stanno parlando???

È un fatto che per le classi subalterne, mettere insieme un pranzo o una cena era l’unico, vero, quotidiano, stringente fattore di sopravvivenza, non una soddisfazione del palato!

I poveri (ossia la stragrande maggioranza degli avi) erano più bassi dei ricchi, erano più magri, malati, consunti e cagionevoli. Ma doveva lavorare appena imparato a camminare. Per poi spendere tra l’80% e il 95% del reddito per il costo dell’alimentazione: i bei tempi andati.

Dal pane tappo, dalla polenta condita con l’aria della finestra, il mais, le castagne, le patate, con ben poca carne, frutta e verdura, poco fuoco per non sprecare la legna, ecco la realtà.

Mentre la cultura medica del tempo spiegava l’impossibilità fisiologica di ciascuna delle due classi di assimilare il cibo dell’altra, sicché il povero, “essendo egli usato mangiar cibi grossi e frutti selvatichi, tosto ch’esso cominciò a gustar di quelle vivande gentili e delicate s’infermò gravemente a morte…”.

Eppure, fare buona cucina anche solo con qualche soldo in tasca e pochi alimenti si può, davvero: un pizzico di fantasia, un cucchiaio creatività, il recupero della ‘cucina della nonna’ quanto basta, una spolverata di saperi e sapori e voilà, con un sorriso, il desco è servito!

Edizioni Eleuthera

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