La Domenica delle Palme rappresenta l’inizio della settimana santa che ripercorre le tappe della passione di Gesù.

Tutti e quattro i vangeli (Matteo 21,1-11; Marco 11,1-10; Luca 19,29-44; Giovanni Gv12,12-15) narrano dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, accolto come Messia, dalla folla festante che sventolava rami di palma,una pianta che cresceva abbondante in quella regione, ritenuta  simbolo di trionfo.

Sembra che i rami di ulivo, quelli con cui oggi si identifica questa festa di pace e purificazione, siano stati introdotti dalla tradizione popolare, a causa della scarsità di alberi di palma presenti, specialmente in Italia.

Tante le tradizioni e i riti, legate a questa giornata. E’ usanza comune che i fedeli portano a casa i rametti di ulivo e d benedetti durante la messa, per conservarli quali simbolo di pace, scambiandoli con parenti ed amici. In alcune regioni, in particolare è il capofamiglia ad utilizzare un rametto di ulivo, intinto nell’acqua benedetta durante la messa delle Palme, per benedire la tavola imbandita nel giorno di Pasqua.

Nella Penisola Sorrentina, come del resto in tutta la Campania, è una consuetudine profana ad esaltare la dolcezza di un gesto considerato non solo sacro, ma anche segno di rispetto ed affetto. Talvolta perfino per i cattolici meno ferventi. A Sorrento, al momento della benedizione, si innalzano rami di ulivo addobbati con i caratteristici dolci a base di zucchero e mandorle. Si tratta di rami o alberelli confezionati, per l’ appunto, con l’ utilizzo di soli confetti, a rafforzare la dolcezza che caratterizza lo scambio di un gesto di pace che viene simbolicamente espresso con la consegna delle palme.

Questa tradizione ha origine da una leggenda assai suggestiva. Secondo i racconti popolari, infatti, i confetti sarebbero arrivati per la prima volta nella Terra delle Sirene grazie ad una donna saracena, approdata in costiera in occasione dell’ assedio turco del 1558, che ne fece dono ad una pescatore di Sorrento che le aveva salvato la vita, in segno di riconoscenza.

Stessa cosa avviene in altri comuni campani, specie quelli a vocazione contadina. Nella Piana del Sele, ad esempio, i rami di ulivo vengono addobbati con i caratteristi “taralli col naspro”, fiocchi colorati e  caramelle. E ai più piccoli è permesso mangiarlo solo dopo la benedizione.

A Bova, in provincia di Reggio Calabria, Domenica delle Palme sia festeggia con un rito probabilmente poco conosciuto ma unico nel suo genere.  I contadini, intrecciando con maestria e pazienza, foglie di ulivo intorno ad un asse di canna, costruiscono delle figure femminili, le cosìddette “pupazze”,  differenziabili per dimensioni in madri e figlie, e  sono “vestite” con fiori freschi di campo, frutta fresca e primizie.

Dopo la benedizione, le “sculture”, portate fuori dalla chiesa, sono avvicinate dalla gente ed in parte smembrate delle loro componenti, le “steddhi”, che vengono distribuite tra gli astanti. Alcuni collocano almeno una “steddha” su un albero del proprio podere, dove rimarrà per tutto l’anno come segno di benedizione e a testimonianza dell’intimo rapporto sacro che unisce uomo e creato.

Altri fissano le trecce di ulivo sulla parete della camera da letto, altri sull’anta della cristalliera, assieme alle immagini dei santi e alle foto dei propri familiari. Infine, c’è chi utilizza le foglie benedette per “sfumicari”, cioè togliere il malocchio dalla casa, compresi i suoi abitanti, ponendo su una brace ardente tre grani di sale e quattro foglioline benedette, disposte a croce.

Il fumo che si innalza dalla brace incensa l’ambiente, accompagnato dalla recita della seguente preghiera: “A menza a quattru cantuneri nci fu l’Arcangelu Gabrieli, du occhi ti docchiaru, tri ti sanaru. Lu Patri, lu Figghiu, lu Spiritu Santu. Tutti li mali mi vannu a mari e lu beni mi veni ccani. Lu nomu di San Petru e lu nomu di San Pascali, lu mali mi vai a mari lu beni mi veni ccani”.

I ramoscelli benedetti, anche se vecchi di un anno, conservano intatta la loro sacralità, pertanto per disfarsene non vengono buttati nella spazzatura ma vengono inceneriti nel fuoco.

La Processione delle “Persephoni” rappresenta un esempio tipico del il connubio che si instaura tra tradizione popolare e religiosità. La storia si intreccia con il mito poiché le figure femminili rappresentate ricordano il mito di Persefone e di sua madre Demetra, che presedevano l’agricoltura.

Non si conosce direttamente l’origine di questo rito, ma si pensa risalga al culto delle popolazioni preistoriche che usavano evocare la “Madre Terra con riti propiziatori delle messi delle fertilità. Queste usanze ancestrali sono molto comuni nel Sud Italia.

In provincia di Imperia, in particolare a San Remo e Bordighera, in occasione della Domenica delle Palme, si rinnoverà l’antica tradizione di Capitan Bresca e dei “Parmureli”, le composizioni di foglie di palma intrecciate I parmureli, con una storia antica, sono conosciuti in tutto il mondo.
Quello di portare in Vaticano i parmureli della Riviera dei Fiori in occasione della Domenica delle Palme è un antico privilegio che risale al 1586, quando Papa Sisto V decise di ringraziare in questo modo il sanremese Capitan Bresca.

La tradizione racconta che col provvidenziale grido “Aiga ae corde!” (Acqua alle corde) Bresca interruppe il silenzio imposto durante l’elevazione dell’obelisco in Piazza San Pietro: lo slancio del sanremese scongiurò l’eccessivo surriscaldamento delle gomene usate per issare il monolite, evitando così una strage di fedeli accorsi per l’occasione.

A Gangi, in Sicilia, ancora oggi si rinnova un rito popolare millenario, quello della processione dei “tamburinara”. Unica nel suo genere è la colorata e rumorosa, a causa de “i tamburinara”, processione della “Domenica delle Palme”. ll suono ritmato dei grossi tamburi portati a spalla da “i tamburinara”. Si diffonde sin dalle prime ore della giornata lungo il dedalo di viuzze del centro medievale.

Poi, durante la processione, i “confrati” delle tredici confraternite con gli stendardi e le tradizionali casacche con le effigi dei santi protettori a turno portano a spalla le pesanti palme, fissate attorno a un asse centrale in legno detto «cunocchia» e adornate con fiori e datteri e con piccolissime croci ottenute abilmente dall’intreccio delle foglie più tenere e più piccole delle palme.

Questo, quasi a ricordare il Gesù Bambino che, dopo il ministero della parola e dopo gli annunci di passione morte e risurrezione, si prepara alla grande palma della croce dell’amore.

Maria Vita Della Monica

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