Chi vive a Napoli non si meraviglia più di niente, ma questa della cantina sotterranea, in pieno centro storico, è una storia che merita di essere raccontata perché tutto si poteva supporre tranne che un “folle” potesse usare una delle tante cavità sotterranee per produrre vino. E invece è successo, e succede ancora in Via Salvator Rosa, 44.

 

L’antefatto

Gianluca Tommaselli, enologo consulente di diverse cantine campane, mi dice di seguire una cantina a Napoli che produce vari tipi di vino. Gli chiedo: “Ma lo imbottiglia solo?”. “No – mi risponde – trasforma e vinifica diverse uve”. “E dove sta, questa cantina, di cui non ho mai sentito parlare?”.

“A via Salvator Rosa, sotto un palazzo”, riprende Gianluca che, al mio stupore, sottolinea come la mia meraviglia sia la stessa di tanti altri a cui ha riferito questa storia. Ed in effetti, sapevo che Napoli poggia su un enorme sistema di cavità e gallerie comunicanti, usate prima come cave, poi come cisterne, poi come discariche ma non ne avrei mai immaginato un tale uso. La circostanza merita un urgente approfondimento ed un sopralluogo immediato.

I personaggi

Il “folle” che produce vino a Salvator Rosa si chiama Vincenzo Amoroso e quando ci fermiamo nel suo ufficio, dopo la “visita guidata” ci racconta un po’ della sua storia. Vincenzo fa il macellaio di professione ed il produttore di vino per passione, entrambe le attività ereditate dagli avi.

Suo nonno infatti, macellava i vitelloni nel cimitero delle Fontanelle durante la guerra e negli anni ’50 del secolo scorso, avviò un’azienda agricola di 1000 bufale a Paestum. Giuseppe, il padre di Vincenzo, cominciò a produrre vino a livello familiare a Bacoli e, sfrattato per il terremoto dal Palazzo dello Spagnolo alla Sanità, comprò una casa nel palazzo di via Salvator Rosa, dove abita adesso Vincenzo.

Alla metà degli anni ’90, Giuseppe decide di ripulire dai rifiuti la cava sottostante l’edificio e di spostare la produzione di vino da Bacoli a Napoli.

Il luogo

Lunedi 23 novembre, l’appuntamento con Gianluca ed il titolare della cantina è al numero civico 44 di via Salvator Rosa alle 18.00.

Il palazzo è un edificio nobiliare della fine del 1700, all’inizio di via Salvator Rosa, la strada una volta detta “Infrascata” perchè, nel 1556, era stata aperta tra i campi per salire alla collina del Vomero.

Il traffico, come al solito, è frenetico, il rumore assordante copre le nostre voci mentre aspettiamo Vincenzo Amoroso.

La cantina sotterranea di Napoli

Insieme a Vincenzo e Gianluca cominciamo a scendere i primi scalini che ci condurranno alla cantina, che in realtà è un’antica cava di tufo, come ne è pieno il sottosuolo della città, poi adibita a cisterna di raccolta delle acque di pioggia provenienti da due canali aperti nella volta della camera.

Non si sa se il materiale estratto dalla cava sia servito per costruire il palazzo sovrastante o se era preesistente alla sua costruzione. Il fatto che la cava sia collegata a gallerie che arrivano fino alla piazza del Municipio farebbe propendere per questa seconda ipotesi.

Vincenzo ci spiega che la scala l’ha costruita suo padre per portare giù le botti e che il fondo della cava è stato chiuso da loro, ricavandone una sorta di locale di servizio piastrellato, perchè i cunicoli, che da lì si dipartivano, arrivano fino alla piazza del Municipio.

Le pareti, inclinate rispetto al soffitto, sono tutte scalpellate, l’altezza è impressionante, perlomeno otto metri, la temperatura è praticamente costante intorno ai 10°C, solo l’umidità cambia con la stagione.

Fino a non molti anni fa il padre di Vincenzo scendeva nella cantina usando una maschera antigas per evitare le pericolose esalazioni di anidride carbonica (sprigionate dai serbatoi durante le fasi di fermentazione del mosto).

Ora Vincenzo ha installato degli aspiratori che hanno risolto il problema. Racconta poi che, in periodo di vendemmia, il camion con le cassette d’uva arriva al mattino molto presto, sosta sul marciapiede di fronte mentre si scaricano le cassette e poi riparte rapidamente per non intralciare il traffico.

Mi immagino corse frenetiche dal marciapiede opposto alla caverna, maledizioni di automobilisti, scale scese e risalite di corsa, urla di operai per svuotare in fretta le cassette, odore intenso di mosto appena si avvia la pressa pneumatica, il sospiro di sollievo di Vincenzo quando anche l’ultima cassetta è stata svuotata.

Molti dei vasi vinari sono stati costruiti direttamente nella camera sotterranea più grande, perché era fisicamente impossibile trasportarli nei meandri del sottosuolo. La vinificazione inizia con una lavorazione al piano terra (dove è presente la pressa) sia dei vini bianchi che dei rossi.

Per le uve bianche dopo la pressatura tramite pressa pneumatica, il mosto non ancora in fermentazione viene trasferito nei serbatoi in acciaio nei locali sotterranei, dove dopo inoculo di lieviti selezionati parte la fermentazione alcolica, e considerando la temperatura esterna appunto di circa 10°C si può considerare termocondizionata, poiché il mosto in fermentazione non supera i 20°C.

La vinificazione procede quindi con le normali fasi di una vinificazione in bianco fino all’imbottigliamento.

Le uve rosse invece terminano la fermentazione con macerazione al piano terra e poi vengono trasferite dopo la svinatura e pressatura, nei sotterranei, dove restano il tempo necessario per l’affinamento.

I vini una volta pronti per l’imbottigliamento vengono quindi trasferiti nuovamente al piano terra tramite pompe, dove alloggiano in serbatoi coibentati e preparati all’imbottigliamento. Dopo la filtrazione mediante filtri Housing, i vini sono avviati ad una piccola macchina imbottigliatrice manuale presente sempre al piano terra, e una volta etichettati, stoccati negli adiacenti locali magazzino.

I vini lavorati in azienda sono, per un totale di circa 25000 bottiglie, i seguenti:

Aglianico DOC Sannio – 4000 bottiglie

Falanghina DOC Sannio – 4000 bottiglie

Piedirosso DOC Sannio – 4000 bottiglie

Aglianico IGT Campania – 4000 bottiglie

Falanghina IGT Campania – 4000 bottiglie

Coda di Volpe IGT Campania – 4000 bottiglie

Alla fine riemergiamo dalla ferma quiete della cantina di tufo al caos della strada, forse una delle più trafficate di Napoli. Il primo pensiero che suscita la visita va all’ennesima occasione sprecata da questa città e dai suoi abitanti, così fortunata da conservare vestigia importanti della antica struttura agricola come i vigneti presenti in ogni quartiere, non solo quelli più periferici, e dove una cava di tufo può trasformarsi in cantina.

Se i napoletani fossero consapevoli del proprio enorme patrimonio, organizzerebbero subito un festival del vino delle vigne di città come fanno a Parigi, dove però le vigne sono solo quelle poche piante che sopravvivono nei piccoli giardini e non ci sono le cave di tufo da usare come cantina: perché non siamo mai capaci di valorizzare quel che abbiamo, nonostante la grande inventiva di persone come Vincenzo o i viticoltori dei Ponti Rossi, della vigna di S. Martino, di Posillipo, della collina del Vomero?

Per coloro che volessero visitare la cantina:

Azienda vitivinicola Amoroso – cantine.amoroso@gmail.com;
tel. e fax: 081 5444359; tel.: 081 454564;

Antonella Monaco e Gianluca Tommaselli

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