La difficile congiuntura economica non toglie agli italiani la voglia di seguire quelle che sono le tradizioni alimentari legate alle festività.

Secondo i dati Assica (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a Confindustria) infatti per Pasqua è previsto un consumo di  ben 13.500 tonnellate di salumi, tra  salami, coppe e capocolli per un valore al consumo di circa  26 milioni di euro.

Una tradizione, quella di mangiare carne e salumi a Pasqua,  radicata nella cultura alimentare del Belpaese e che arriva da lontano: già dal Medioevo, mentre l’addio prequaresimale alla carne (il Carnevale) era celebrato con salsicce o fette di salame cotte nel vino bianco, il giorno di Pasqua si tornava a consumare, dopo quaranta giorni, quei salumi che, in primavera, raggiungevano il perfetto grado di stagionatura.

Con la tradizionale macellazione invernale del maiale (che avviene dal giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, a quello di Sant’Antonio, il 17 gennaio), infatti, si ottenevano salumi che avevano periodi di stagionatura diversi, da pochi mesi dei salami cacciatori ai 12/18 mesi dei prosciutti crudi.

Il periodo Pasquale, tra la fine di marzo e la fine di aprile, era il periodo perfetto per consumare proprio il salame e la coppa o capocollo, questi ultimi due salumi molto simili, il cui nome varia nelle diverse regioni (coppa al nord, capocollo al centro-sud). Questi prodotti della salumeria italiana, infatti, necessitano di una stagionatura di 3/4 mesi.

Oltre al tradizionale pranzo di Pasqua, anche il lunedì dell’Angelo, con la classica gita fuori porta, diventa occasione per consumare i salumi, ideali per i pic nic, per la loro praticità e varietà. Sono tanti, quindi, coloro che approfitteranno dell’occasione per imbastire su prati, spiagge, cestini per il pranzo ed e anche barbecue, quest’ultimo regno della carne di maiale, con le salsicce, le costine, le braciole e le puntine.

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