Formaggi_10[1]La tutela del made in Italy ed il contrasto alle contraffazioni si muove su numerosi fronti, non ultimo quello agroalimentare ed è per questo che intendiamo indagare l’opera svolta dai consorzi di tutela, portando alcuni esempi chiarificatori.

Giova ricordare che i prodotti agroalimentari e soprattutto quelli caratterizzati da un marchio di tutela (D.O.C, D.O.P, D.O.C.G, I.G.T) generano un giro d’affari stimato in circa 54 miliardi di euro (per i soli prodotti D.O.P ed I.G.P) purtroppo superato dalle imitazioni/contraffazioni che raggiungono i 60 miliardi di euro di fatturato.

Per ridurre i rischi derivanti dalle contraffazione e dall’uso improprio di marchi e denominazioni e dare maggiore visibilità al made in Italy sono stati creati nel corso degli anni numerosi consorzi di tutela (oltre un centinaio) di prodotti più o meno conosciuti dal nord al sud dello stivale.

Le eccellenze agroalimentari tutelate sono multiformi e variegate e spaziano da formaggi, salumi, olii, vini e derivati (aceti) e prodotti ortofrutticoli, che mettono in correlazione il prodotto con uno specifico e ben determinato territorio nel quale oltre alla sua produzione ne viene fatta un’opera importante di marketing e di riconoscimento che va al di là dei confini territoriali in senso stretto.

La geografia dei consorzi di tutela (e di conseguenza dei prodotti tutelati/valorizzati) abbraccia tutto lo stivale senza distinzioni territoriali di sorta e si presenta in oltre 252 sfaccettature differenti (solo per i prodotti D.O.P e I.G.P), basti pensare che il solo settore caseario è tutelato da oltre 30 enti. I consorzi di tutela nella loro attività svolgono una fondamentale opera di marketing territoriale con l’intento di instaurare quel rapporto prodotto territorio quale riparo dalla commercializzazione di frodo e dalla nascita di prodotti il più delle volte “strampalati” presenti in giro per i 5 continenti che richiamano (con slogan, diciture, marchi, immagini) il Bel Paese.

Ma spesso e volentieri fungono da veri e propri attrattori per i consumatori e che di italiano hanno ben poco e sviluppano per così dire un marketing dell’ agro-pirateria. L’indagine sull’attività dei consorzi di tutela può essere svolta per settori/prodotti, come per i formaggi, all’interno dei quali sono racchiusi esempi emblematici che dimostrano come la parola Italia campeggi con sempre maggiore frequenza sugli scaffali di mezzo mondo al solo scopo di creare un danno dalle proporzioni difficili da quantificare (economiche, occupazionali, di salvaguardia ambientale e di rivitalizzazione di territori e prodotti spesso dimenticati e che risiedono nella memoria delle popolazioni) ai produttori locali.

Nel settore caseario al cui interno è rappresentato il 55% dei prodotti tutelati, più che in altri comparti alimentari le imitazioni sono ormai all’ordine del giorno, basti pensare ai casi più eclatanti rappresentati da Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Gorgonzola (i prodotti senza dubbio maggiormente imitati) ma anche Mozzarella, Asiago, Fontina e Taleggio.

La nostra attenzione è però rivolta a quei prodotti caseari meno conosciuti e con un’ impatto mediatico minore ma con ampi margini di crescita e sviluppo territoriale.

In tale schiera di prodotti sono annoverati eccellenze casearie: Montasio; Monte Veronese, Piave (Veneto) Pecorini Romano, Toscano, Sardo, Siciliano, Toscana, Umbria, Sardegna, sicilia) Brà, Castelmagno, Robiola di Roccaverano, (Piemonte) Quartirolo lombardo, Bitto e Casera, Salva Cremasco (Lombardia) Stelvio (Alto Adige), Ragusano Squacquerone e formaggio di fossa (Emilia Romagna) Caciocavallo silano (Calabria) e numerosi altri, alcuni dei quali prodotti in quantità limitate da pochi ed “eroici” produttori e non tutelati da alcun consorzio o tutt’al più da Presidi Slow Food.

Ma non giova solo parlare delle imitazioni in senso stretto delle quali le cronache ormai da anni sono piene ma di quanto di buono si è messo in piedi o si cerca di fare allo scopo di prevenire l’uso distorto dei prodotti che danno lustro al nostro settore agroalimentare nel mondo.

FORMAGGIO PIAVE DOP> Un’esempio ben riuscito di valorizzazione è quello del formaggio Piave, tipicità D.O.P (riconoscimento ottenuto nel 2010) delle Dolomiti. Per la tutela di questo formaggio è nato un consorzio con sede nel comune di Cesiomaggiore in frazione Busche (Belluno) non lontano dalla storica cittadina di Feltre, considerata non a caso la patria del formaggio e sede di una storica cooperativa lattiero casearia (la latte busche) che ha fatto un vanto della produzione del Piave ed anche di altri formaggi locali. Per la tutela e l’ottenimento del marchio D.O.P è stato stilato un disciplinare molto restrittivo soprattutto sotto alcuni aspetti. Il disciplinare, pone delle restrizioni molto severe sulle zone di produzione (sola provincia di Belluno) e sull’utilizzo di latte di provenienza da bovini di razza bruna, frisona o pezzata rossa per oltre 80%. Inoltre il marchio Piave deve essere inserito su ogni forma e presentare una determinata altezza, ed ogni forma deve riportare riferimenti in merito al lotto di produzione e al codice identificativo del caseificio.

L’etichetta deve contenere le diciture Piave D.O.P, la tipologia di commercializzazione (fresco, mezzano, vecchio), marchio o ragione sociale del produttore. Il disciplinare indica anche le tipologie di commercializzazione (in base alla stagionatura) Fresco: con stagionatura maggiore di 20 giorni e minore di 60; diametro di 320 mm ± 20 mm; altezza dello scalzo di 80 mm ± 20 mm e peso di 6,8 kg ± 1 kg. Mezzano: con stagionatura maggiore di 60 giorni e minore di 180; diametro di 310 mm ± 20 mm; altezza dello scalzo di 80 mm ± 20 mm e peso di 6,6 kg ± 1 kg. Vecchio: con stagionatura maggiore di 6 mesi; diametro di 290 mm ± 20 mm; altezza dello scalzo di 80 mm ± 20 mm e peso di 6,0 kg ± 1 kg.

Vecchio selezione oro: con stagionatura maggiore di 12 mesi; diametro di 280 mm ± 20 mm; altezza dello scalzo di 75 mm ± 20 mm e peso di 5,8 kg ± 1 kg. Vecchio riserva: con stagionatura maggiore di 18 mesi; diametro di 275 mm ± 20 mm; altezza dello scalzo di 70 mm ± 20 mm e peso di 5,5 kg ± 1 kg. E determinate caratteristiche chimiche da possedere: Grasso tal quale: Fresco 33 % ± 4 %, Mezzano 34 % ± 4 %, Vecchio > 35 %.

Proteine: Fresco 24 % ± 4 %, Mezzano 25 % ± 4 %, Vecchio > 26 %. Sapore: inizialmente dolce e lattico, in particolare nella tipologia «Fresco», ma che si riscontra ancora nel «Mezzano». Procedendo con la stagionatura prevale una maggiore sapidità e diventa progressivamente intenso e corposo, fino ad una leggera piccantezza nelle stagionature più avanzate. — Crosta: presente, tenera e chiara nella tipologia «Fresco», mentre aumenta di spessore e consistenza con l’avanzare della stagionatura, diventando dura e di una colorazione progressivamente più scura e tendente all’ocra nella tipologia «Vecchio, Vecchio Selezione Oro e Vecchio Riserva». — Pasta: è caratterizzata dall’assenza di occhiatura. Si presenta bianca e omogenea, nella tipologia «Fresco», mentre nelle stagionature più avanzate assume una colorazione giallo paglierino ed una consistenza più asciutta, granulosa e friabile, arrivando a presentare una leggera e caratteristica sfogliatura nella tipologia «Vecchio, Vecchio Selezione Oro e Vecchio Riserva».

> Scendendo lungo lo stivale incontriamo il Pecorino toscano, prodotto a pasta dura delle provincie di Grosseto, Siena, Arezzo ed in piccola parte del Lazio e dell’ Umbria. Anch’esso a denominazione D.O.P ottenuta nel 1996 e garantito dalla presenza del consorzio fin dal 1985 che ingloba 245 allevatori, 17 caseifici, 1 confezionatore ed uno stagionatore. Il consorzio distingue due tipologie di pecorini : “fresco” a pasta tenera, con un periodo di maturazione minimo di 20 giorni (ma normalmente è prolungato fino a 45/60 giorni) e quello stagionato, cosiddetto “da serbo”, a pasta semidura, che deve maturare per almeno 120 giorni ma è stagionato anche per 6-8-10 mesi. Questa differenziazione, che si basa su variazioni limitate, consente di ottenere dei prodotti diversi per caratteristiche chimico-fisiche, nutrizionali e organolettiche, e di far fronte alle esigenze di un’ampia fascia di consumatori. Generalmente il peso del Pecorino Toscano non supera i 2,5 Kg per ciascuna forma per lo stagionato, e rimane sotto i 2 Kg per il fresco. La forma del Pecorino Toscano è cilindrica e mostra in maniera netta il marchio del Consorzio di tutela sullo scalzo che ne indica la Denominazione di Origine Protetta, eseguito a fuoco sullo stagionato ed ad inchiostro sul fresco. Presenta una sottile crosta di colore giallo, uniforme, liscia, morbida nella versione fresca e più dura in quella stagionata. La pasta di colore giallo paglierino chiaro, presenta qualche occhiatura irregolare e ben distribuita. L’odore è ben percepibile delicato, di burro, fieno, e animale (naturalmente pecora).

Grazie al consorzio è stato possibile estendere la tutela del prodotto anche oltre oceano, in Canada oltre che negli Stati Uniti (già in essere dal 2008) con l’acquisizione del nome e la registrazione del logo Pecorino Toscano D.O.P trade mark in Canada.

CACIOCAVALLO SILANO> Concludiamo il breve viaggio della penisola casearia con la Calabria terra d’elezione del Caciocavallo Silano formaggio a pasta filata prodotto da latte vaccino. Il caciocavallo silano anche esso D.O.P (dal 1993, dal 1996 ha ottenuto la D.O.P europea) è tutelato dal consorzio, localizzato a Spezzano della Sila in provincia di Cosenza. Il disciplinare di produzione oltre a delimitare con chiarezza le zone di produzione delle singole regioni e province (Calabria, Campania, Molise, Puglia, Basilicata) indica le caratteristiche del prodotto ed i metodi di lavorazione forma: ovale o tronco-conica, con testina o senza, nel rispetto delle consuetudini locali, con presenza di insenature dipendenti dalla posizione dei legacci; peso: compreso tra 1 kg e 2,500 kg; crosta: sottile, liscia, di marcato colore paglierino; la superficie può presentare leggere insenature dovute ai legacci collocate in relazione alle modalità  di legatura; pasta: omogenea, compatta con lievissima occhiatura, di colore bianco o giallo paglierino piú carico all’esterno e meno carico all’interno; sapore: aromatico, piacevole, fusibile in bocca, normalmente delicato e tendenzialmente dolce quando il formaggio è giovane, fino a divenire piccante a maturazione avanzata; grasso sulla sostanza secca non inferiore al 38%.

Essere più critici quando si fa la spesa, pretendere che certi criteri siano rispettati, è il primo passo per tutelare la nostra economia, oltre che la nostra salute.

Domenico Aloia

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